Il conformista
è uno che di solito sta sempre dalla parte giusta,
il conformista ha tutte le risposte belle chiare dentro la sua testa,
è un concentrato di opinioni,
che tiene sotto il braccio due o tre quotidiani,
e quando ha voglia di pensare, pensa per sentito dire,
forse, da buona opportunista,
si adegua senza farci caso e vive nel suo paradiso.
(g. gaber)
E, poi, succede che una luce si affievolisce all’improvviso. Avviene davanti ad un caffè macchiato, a un tè al latte e, magari, ad una semplice domanda: – che fai oggi?
- Partecipo ad un incontro in occasione della giornata della Memoria…
- Ancora queste cose? E basta; è inutile ormai; sono così lontani i campi di sterminio, gli ebrei…ora ci sono altre emergenze…ma voi di sinistra siete bravi solo a dir male di chi, oggi al governo, sta veramente tentando di far qualcosa per questi disgraziati che invadono le nostre strade. Altro che le vostre stronzate!
No. Non è possibile. Davanti a centinaia di caffè macchiati abbiamo alimentato la speranza di un mondo da dover cambiare. Avrei cambiato la mia vita mille volte se avessi potuto difendere gli indiani sulle sponde del fiume Sand Creek o se avessi potuto essere compagno di coraggio e di paura nelle notti dei partigiani sulle montagne. E, sempre, sarei stato certo di averti con me.
Anche ieri sera tutti dicevano che c’è bisogno di un gesto di umanità nei confronti di questa povera gente che viene da lontano. Però, a parte questo (il gesto di umanità!), fa bene chi sta al governo a non farli sbarcare. L’Italia finalmente si sta facendo rispettare! Era ora. Mica siamo gli ultimi del mondo!
Sì, è vero, lo confesso. Si è affievolita la luce ma si è ingigantita in me la necessità di parlare ancora della Memoria. Di continuare a interrogare (e fare interrogare) il passato con gli occhi del presente. È il mio modo di educare parlando del dopo Auschwitz; è il mio modo di oppormi e di educare ad opporsi alle discriminazioni, alle intolleranze, alla violenza.
Mi vuoi convincere che è bene affidarsi all’uomo della provvidenza (ma non è stato sempre una tragedia?). Dici anche che ormai è inutile parlare sempre dei morti.
Io, invece, voglio tentare di conservare in vita chi è scomparso. Voglio cercare di non far dimenticare ed instaurare un patto tra le generazioni. Voglio continuare a credere (e battermi per) in una politica di Stato che non si trasformi in politica di assassinio.
Allora, come ragioni tu, Gerardo Marotta ha perso solo tempo con il tenere continuamente accesi i riflettori sulla Rivoluzione del 1799.
Mi dispiace molto dirtelo ma sono con Gerardo Marotta e non con te. Ho incontrato Gerardo, per l’ultima volta, il 20 agosto del 2016. Come ogni anno, nonostante (e si vedeva) le sue condizioni di salute non fossero delle migliori, non aveva voluto mancare alla commemorazione dei martiri del 1799 nella Basilica di Santa Maria del Carmine Maggiore in piazza Mercato. Era arrivato al braccio del figlio Massimiliano e di Nino Daniele, Assessore alla Cultura della Città di Napoli. Al termine della celebrazione, dopo l’assegnazione del premio “Pimentel Fonseca” a Djimi Elghalia (attivista per i diritti del popolo Saharawi), ricordo che molti dei presenti si erano portati a stringere la mano al Presidente dell’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici; quindi, al braccio di Nino e mio, Gerardo Marotta uscì dalla chiesa e tutti e tre ci fermammo ad aspettare un taxi, che accompagnasse l’Avvocato a casa. Al saluto, con un filo di voce mi sussurrò: “è molto importante ciò che fai; continua sempre a tenere viva tra i giovani la memoria dei martiri del 1799”.
Ecco, l’imperativo è continuare a tenere viva la memoria. Che significa continuare a parlare di futuro, a costruire, a tenere uno sguardo sul domani. Ancor di più, oggi, quando l’utile conformismo (a un pensiero dominante) vuole mostrare i muscoli, costruire case con finestre aperte solo nei propri giardini, tenere in vita una gerarchia delle razze, sopravvivere educando ad una mobilitazione permanente per qualcosa/qualcuno e contro qualcosa/qualcuno!