Nel 2002 avevo inviato una lettera al professore Giorgio Spini (1916-2006), per chiedergli una testimonianza su Gaetano Arfè, del quale stavo preparando una biografia. Il 25 giugno mi scrisse: “La ringrazio della sua lettera e le faccio i più caldi auguri per la biografia su Gaetano Arfé. Sono ormai molto anziano e mi sarebbe difficile inviarle una testimonianza scritta, ma sono del tutto disponibile ad un incontro con lei. La prego solo di avvisarmi per tempo della sua venuta perché non sempre sono in condizioni perfette”.
Non persi tempo e dopo pochi giorni andai in Toscana. Ricordo perfettamente quella giornata di metà luglio, stranamente cupa e piovigginosa, quando salii sulla collina di Fiesole, per incontrare Giorgio Spini. Il professore – lei si trova di fronte ad un vecchio signore di 86 anni- abitava un angolo di pace e paradiso.
Lo attesi nello studio o, comunque, in una delle stanze che mi sembrava studio, tanto erano tutte identiche per gli infiniti libri alle alte pareti, per i giornali sparsi dappertutto, per l’austera aria che si respirava. “Sente i passettini? Ecco il mio Giorgio che arriva”, così, semplicemente, la signora Annetta, la moglie del professore, in attesa di preparare un caffè, introdusse lo storico.
Dopo una stretta di mano, io dissi solo: “Finalmente la conosco”; ed il professore di rimando rispose: “Scommetto che lei è stato un altro sfortunato studente, costretto a studiare sui miei libri”(Disegno storico della civiltà, Ed. Cremonese, 1955). Poi, senza ulteriori convenevoli, sorseggiando il caffè, cominciammo la nostra chiacchierata.
“ Conosco Arfé da quando fu trasferito come archivista, a Firenze, nel 1952; da allora siamo stati costantemente in rapporto. Politicamente, abbiamo avuto un cammino alquanto diverso. Entrambi provenivamo dal PdA: Arfé, a un certo momento, va via, io, invece, ci resto finché è esistito il PdA e sono stato tra coloro che rifiutarono la confluenza nel PSI. I socialisti di allora erano strettamente legati ai comunisti: io ho appartenuto, invece, a quell’ala dell’ex PdA, che ha avuto come esponenti Codignola e Calamandrei e che, rifiutando quella convergenza, fecero, come fu scherzosamente definita, “la lunga traversata nel deserto”. Cioè tutta una serie di molte travagliate formazioni, chiamate in vario modo, da Azione Socialista a Giustizia e Libertà ad Unione dei Socialisti. Alle elezioni del 1948, poi, rifiutai di andare col Fronte e scelsi Unità socialista, una formazione a cui aveva aderito, anche se temporaneamente, lo stesso Saragat”.
Ma le scelte politiche diverse non hanno condizionato il vostro rapporto.
“No, assolutamente. Ci siamo incontrati a Firenze ed abbiamo partecipato insieme ad una quantità di iniziative culturali e ad innumerevoli convegni storici. Quando Arfé ha pubblicato, con Einaudi, “Storia del socialismo italiano”, io e Venturi ne commentammo favorevolmente l’uscita e Venturi ,anzi,scherzosamente, lo definì il miglior saggio storico scritto da un napoletano, dopo quello di Vincenzo Cuoco”.
E storiograficamente come siete collocati?
“C’è stata la grande corrente storiografica rappresentata da Venturi, Garosci, Galante Garrone, Leo Valiani e, per ultimo, da chi parla. Dall’altra parte, invece, c’è stata la grande corrente storiografica comunista. Io credo che Gaetano sia stato abbastanza vicino a quella azionista, pur non facendone attivamente parte. Sicuramente, mi pare non abbia accettato granché gli schemi gramsciani della storiografia comunista. Noi azionisti, d’altra parte, prendemmo le distanze da Croce, perché ritenemmo più rispondente alla nostra storia quella di Nello Rosselli; ritenemmo, perciò, il fascismo essere una manifestazione di tare lunghe, sostanziali, della coscienza italiana, risalente alla Controriforma; non certamente all’invasione dei barbari di Croce. Ecco perché noi azionisti siamo stati grandi ammiratori dell’opera di Croce ma anche ben distaccati dalla sua linea”.
Si può dire, allora, che per lei si è trattato di un’opzione etico-politica, liberal-socialista, fatta in giovane età e mantenuta, testardamente, per tutto il resto del tempo. Ma in questa opzione liberal-socialista vi è anche implicito, mi pare, un giudizio critico sul riformismo di Turati e, poi, di Nenni. Se è così, quali sono i punti di incontro con Arfé?
“Ci sono state moltissime strade d’incontro. Arfé, da giovanissimo, ha combattuto in “Giustizia e Libertà”. E l’atteggiamento di drastico rifiuto del fascismo, da una parte, e del clericalismo democristiano, da un’altra, è sicuramente un largo spazio comune. E’ vero che, per altri versi, ci sono state strade che ognuno ha difeso secondo i propri principi, alcuni comuni ed altri differenti. Noi storici azionisti, per esempio, abbiamo mantenuto sempre una forte riserva nei confronti non solo del PCI ma di tutto il fenomeno mondiale comunista; non ho l’impressione che Arfé abbia fatto altrettanto. Egli è stato molto più vicino al movimento comunista”.
Ribadendo che più volte ci sono state scelte diverse, con motivazioni diverse, cosa si può riconoscere come merito assoluto di Gaetano Arfé?
“Egli è stato un grande studioso, di grandi qualità; ha portato nella storiografia italiana quella rivalutazione del socialismo riformista, che gli va tutta ad onore. Noi azionisti guardavamo i socialisti sotto la luce del loro fallimento politico; la storiografia comunista, invece, tendeva a riportare tutto, come già detto, allo schema gramsciano. In questo contesto Gaetano Arfé ha avuto il prezioso merito di saper riaffermare il valore etico-politico-storico di una, effettivamente, grande e vitale esperienza socialista. E’ riuscito, inoltre, a recuperare –laddove nemmeno Pertini e compagni erano riusciti- il valore di una grande esperienza popolare, raccontata nella “Storia dell’Avanti!”. E non è stato da meno con la gloriosa epopea della Resistenza ”.
Com’è che Arfé riesce a salvarsi da quell’ostracismo messo in atto dal PCI nei confronti di tutti gli antifascisti non comunisti?
“Col suo attento lavoro di politico e di studioso Arfé riesce a ribadire, sottraendosi ad una sorta di ricatto sentimentale, che l’anticomunismo non significa assolutamente fascismo. Quindi, il suo grande merito è stato proprio di essere riuscito a dare cittadinanza alla grande tradizione socialista. E, quando il PSI si è europeizzato, inoltre, Gaetano, che ha avuto sempre un orientamento internazionale, vi ha contribuito con le idee, la passione, lo studio e l’intelligenza”.