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Era don Carlo del cinema. Per tutti

Ciro Raia 3 Gennaio 2020     No Comment    

Era don Carlo del cinema. Per tutti. Aveva un carattere dolcissimo, un tono di voce quasi flautato, un fisico atletico, due mani (come i piedi) grandi e gli occhi di un azzurro chiaro, forse più celesti che azzurri, una rarità. Diceva continuamente di avere, però, un occhio pigro e parlava del suo disallineamento dell’asse visivo come di una malformazione rara (che, invece, appena si percepiva).

Dire Carlo significava dire cinema a Somma. Era l’erede, infatti, di una famiglia che aveva ripreso l’antica tradizione dei film muti in una vecchia sala di via Raimondi, era passata al cinema Impero di via Gramsci, all’arena Torino all’interno dell’omonimo palazzo e, da ultimo, alla sala del cinema Arlecchino, la sala da seicento posti invidiata da tutti i paesi limitrofi.

Carlo aveva una quindicina di anni più di me ma è stato, per moltissimo tempo, il mio amico di sempre, come se fosse un coetaneo. Il cinema Arlecchino era di fronte all’Emporio di mia madre: non c’erano giorni della settimana, non c’era Pasqua o Natale che io non stessi con Carlo, impastato nei fotogrammi di celluloide, incantato dalle locandine pubblicitarie (in bianco e nero ed a colori) dei film, affondato con la testa nel borderò, per rendicontare la vendita dei biglietti serali, altrimenti don Nicola, l’agente SIAE con ufficio (ma era una stanza di casa sua) a Ottaviano, cominciava a cavillare. Poi arrivavano Michele Napolitano e Ciro Russo, che, come Carlo, erano incalliti tifosi della Juventus. Si infervoravano parlando di Bercellino, Castano e Nicolé. Intanto Michele guardava intensamente Rosetta, che stava alla cassa del bar; e la guardò così tanto da chiederla in sposa.

Ha detto bene Ciro Russo oggi, mentre seguivamo la bara di Carlo: c’era la sala, dove si proiettava il film e un antisala animata ogni sera da consumati attori senza copione, senza regia e senza macchina da presa. C’era Giacomino, il tuttofare; faceva la maschera, staccava i biglietti, si dava simpaticamente arie, parlando un italiano tutto suo, poi, era attento agli spettatori indisciplinati e, da ultimo, scala in spalla, tappezzava i muri delle case (che non erano spazi proprio adatti) con manifesti pubblicitari del film del giorno dopo. C’era Mimì, con la sua Lambretta dal carburatore scoppiettante; era il barista ma anche l’uomo di fatica, il gelataio, l’accompagnatore di Carlo, il vigile occhio del padrone. C’era Vincenzo il biondo, l’operatore sempre attento al riavvolgimento della pellicola, ai rappezzi dei fotogrammi, alle proteste degli spettatori quando la pellicola si spezzava. E, poi, c’erano Paolo, Umberto e Gaetano, che erano, nell’ordine, l’elettrauto con l’officina di fronte all’Arlecchino, il venditore di trippa e frattaglie di maiale, il guardamacchine e, all’occorrenza, il sostituto di chiunque.

Stamattina con Anna, la moglie di Carlo, ho ricordato il suo matrimonio. Mi sembrava fosse passato meno tempo! Invece mi ha detto che al prossimo giugno ci sarebbero state le nozze d’oro. Mamma mia, cinquant’anni da quel pranzo di nozze in un locale di Torre del Greco! C’era anche mio padre. Perché mio padre era molto amico della famiglia De Vita ed in particolare di don Vincenzo, il padre di Carlo.

Quante immagini, quanti ricordi! Nei mesi in cui non c’era scuola accompagnavo Carlo a Napoli, alle case di distribuzione cinematografica, che erano tutte in Calata Trinità Maggiore. Sui sedili posteriori di una Fiat 500 Giardiniera, di colore bianco, c’erano le pellicole dei film nelle scatole di ferro. Bisognava accaparrarsi la prima visione di zona e poi, provvedere a farle recapitare al locale di un altro paese.

Quando uscì Nuovo Cinema Paradiso mi commossi fino alle lacrime. Vedevo Carlo come Ciccio Spaccafico (Enzo Cannavale), proprio il gestore del “Nuovo Cimena Paradiso”: – solo due giorni?… mi volete babbiare? .. che ci posso fare se le copie sono impegnate?… Catene, solo due giorni!.. Ma la gente mi mangerà gli occhi!

Poi, quando Vincenzo il biondo lasciò il posto di operatore, Carlo si sedette anche dietro il proiettore e fu Alfredo (Philippe Noiret), che arrotolava e srotolava le pellicole, aggiustava i tagli, mangiava il pane che gli aveva portato Anna, la sua consorte, che si chiamava così come la moglie (Isa Danieli) di Alfredo-Phippe Noiret.

Sapevo delle non buone condizioni di salute di Carlo e cinque o sei mesi fa gli andai a fare visita. Soffriva e mi rispondeva a monosillabi; forse, inizialmente, non mi riconobbe nemmeno. Salendo le scale di casa sua risentii il profumo delle pizze, che mangiavamo insieme a Santa Chiara; giù, in fondo alle scale, invece, cercai invano la sua bicicletta gialla. Me la prendevo quasi ogni giorno e pedalavo per le strade del paese: mi sentivo invincibile, perché era una bicicletta con la leva dei rapporti, che potevo regolare in salita o al passo, proprio come i ciclisti veri.

Non ho mai sentito da Carlo una parola fuori posto. La sua espressione più volgare è stata –ma sottovoce e con grande ironia- fetentone. E a me l’ha detta più di una volta. Anche in un lontano giorno di Santo Stefano di un mezzo secolo fa: eravamo andati a Grazzanise, sempre con quella Fiat 500 Giardinetto di colore bianco, a recuperare una qualche pellicola, che si doveva proiettare di sera. Pioveva, faceva freddo, eravamo partiti alle 8 del mattino, manco si dovesse andare chissà dove; avevo detto a mia madre –un paio d’ore e torno. Ma Grazzanise non si fece trovare dietro l’angolo: solo campagna e fango, fango e campagna. Si fece l’una ed eravamo ancora lì, comincia a sbroccare, anzi a smadonnare. E Carlo, serafico, con quella risata che gli partiva dal petto, dal cuore, diceva:- fetentone, massimo tra un’ora e siamo a casa; che fa? La minestra la mangerai più fredda. Però stasera vedrai un bel film (quale? Non lo ricordo).

Oggi pomeriggio, quando è partito il corteo funebre dietro la bara di Carlo, io c’ero. Mi sono girato attorno. C’erano i familiari insieme gli amici di sempre: Ciro, Michele e Rosetta. Ma c’erano anche Eduardo Nottola (Rod Steiger), Ramòn Rojo (Gian Maria Volontè), Mathilde Bauchard (Fanny Ardant), Guido Carani (Amedeo Nazzari) e tanti altri ancora.

Era don Carlo del cinema. Per tutti. E se ne è andato al secondo giorno di un anno appena cominciato. Un anno bisestile.

 

 

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Autore: Ciro Raia

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