Mi chiamava zio. E, sicuramente, tra le nostre famiglie c’erano stati vincoli di antica parentela. A volte addirittura mi rimproverava, per come mi sarei dovuto –secondo lui- comportare in alcuni momenti di (bassa) politica cittadina. Lo faceva, come suo solito, con passione, benevolenza e in nome di una lealtà ad una fede. E la sua fede era quella che lo legava al vecchio partito socialista ed alla parola socialismo.
Si chiamava Domenico Muoio ma per tutti era solamente Mimì. Piombava in ogni gruppo, entrava in ogni discussione per illustrare il suo punto di vista. Ed il suo punto di vista era quello di uno del popolo, di un lavoratore, di uno che non capiva –che non voleva capire- il significato della parola trasformismo, di uno che continuava a diventare rosso di rabbia, quando si impuntava nel sostenere che i socialisti non potevano che stare nella sinistra. Per Mimì e per i pochi come lui, infatti, era inconcepibile che un socialista potesse appoggiare un governo di destra, un’amministrazione di destra, un circolo di destra o, anche, un condominio di destra! Anche i suoi momenti di svago erano improntati ad una netta selezione di appartenenza. Se, infatti, la porta della sezione socialista era aperta, Mimì, allora, si trovava lì, d’estate e d’inverno, ad ascoltare, ad infervorarsi, a fare sogni. Se la sezione, invece, aveva la porta sbarrata (e da quando il partito ha vissuto di un marchio di proprietà, ha avuto sempre la porta sbarrata, è stato inesistente ma ha detto di esistere nelle trattative private) allora Mimì preferiva sedersi in solitudine su una panchina della piazza; e, forse, continuava ad infervorarsi, a fare sogni. Lo faceva i pomeriggi d’estate, le mattine d’autunno, le domeniche dei paesi. Gli facevano compagnia i fogli di un quotidiano arrotolato ed i suoi occhi irrefrenabili dietro le lenti chiare; gli occhi che leggevano ben dietro le apparenze e ben sotto gli eleganti doppiopetti dei potenti per mestiere.
Mimì era un socialista di un tempo passato, un socialista-lavoratore, come lo era stato Michele, suo padre. Mimì aveva un idea romantica del socialismo. Il suo era un socialismo sentimentale, quello senza necessità di filosofia, di letteratura o vangeli. Il suo era un socialismo delle persone miti, umili, ricche di umanità perché ricche di buoni sentimenti e di (inconsapevoli) utopie.
Domenico Muoio se ne è andato in una mattinata di questo gennaio, lasciando incredulità e costernazione in chi lo conosceva. Mimì, però, mancherà non solo alla sua famiglia ed ai suoi amici; mancherà a molti compaesani. E mancherà a me, perché gli volevo bene e perché non mi sentirò più chiamare zio. Ed il suo ricordo riproporrà per sempre la sua etica, la sua passione ed il senso di un socialismo in cui si poteva trovare un sistema di valori e capire il significato profondo, sentimentale, storico della parola compagno.
Saluto Mimì con una foto di una manifestazione socialista del 2003. Si era in un’affollatissima Sala Santa Caterina: Mimì, con l’immancabile pulloverino rosso, è vicino a Gaetano Arfè e -di spalle- Guido De Martino.