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La Cultura non va a braccetto con la demagogia

Ciro Raia 11 Ottobre 2019     No Comment    

Mi sono chiesto, in questi giorni, da dove sia nata la mia passione politica ed il mio credo di socialista. La famiglia di mia madre, dove ho passato gran parte della mia infanzia/adolescenza, aveva spiccate simpatie monarchiche. Parlare del re e della regina significava far apparire il sole. Mia madre, cattolica praticante e devota di Padre Pio, votava Democrazia Cristiana; però, non lo confessava, perché –sosteneva- il voto era segreto. Mio padre, che era operaio ed era stato prigioniero degli inglesi per ben cinque anni, frequentava la sezione del partito socialista. Io, spesso, lo accompagnavo e cominciavo ad interessarmi ai nomi di alcuni leader dell’epoca. In seguito, avendo avuto la fortuna di conoscere e praticare Francesco De Martino e Gaetano Arfè, il quadro si è chiuso.

Perciò, a quindici/sedici anni, se mio padre fosse stato un fascista, io sarei diventato, almeno a prima botta, un fascista; e, se fosse stato, un anarchico o un brigatista (che ancora non c’erano), io sarei diventato con molte probabilità un anarchico o un brigatista (anche se ancora non c’erano).

Poi, avendo incontrato dei buoni maestri, in una scuola quasi sempre buona (non una Buona scuola!), il mio apprendistato politico e culturale si è completato (anche se mai un apprendistato si completa del tutto), facendomi radicare nella fede socialista. Raccontava Arfè che Gaetano Salvemini era solito dire: quando da piccoli ci si abbevera ad una fonte, da grandi, a quella fonte si resta fedeli!

Tutto ciò per sostenere che il voto ai sedicenni mi sembra un azzardo e, comunque, una proposta ricca di demagogia. Bisogna avere il coraggio di dirlo fuori dai denti: oggi si vive immersi nella contemporaneità, si ignora il passato, si complica sempre più la costruzione del futuro. Tanto per dire: dei cinquantamila giovani, che un paio di settimane fa hanno partecipato a Napoli al corteo in difesa del clima, durante le celebrazioni delle Quattro Giornate (presentazione di libri, lezioni di storia, intitolazione della piazza a Nanni Loy, proiezione di film) non ce ne era nemmeno uno. E nemmeno uno c’è e ci sarà in altre occasioni, in cui non si chiede e non si chiederà di “esser contro”, di pingersi il viso, di ballare e saltare le lezioni a scuola.

La maturità la si conquista con l’esperienza, la cultura, la partecipazione attiva ai processi sociali, lo studio serio e rigoroso. Non si è maturi perché si fanno vacanze all’estero o si dichiara semplicemente di voler esprimere il proprio punto di vista in scelte che interessano la fascia d’età dei giovani sedicenni.

So di offrirmi agli strali ed agli strilli dei miei nipoti e dei loro amici. Lo faccio in piena coscienza e con determinazione. Non mi va di abbassare la guardia di fronte all’ennesimo atto di superficialità ed all’avventurismo di gente poco avvezza al pensiero, che si chiamino pure Di Maio, Zingaretti, Salvini o Calenda.

Più che il voto a sedici anni, servirebbe una scuola in grado di accogliere degnamente chi ha, oggi, sedici anni; una scuola su cui investire risorse per tirarla fuori dalle secche della mediocrità; una scuola in cui la maturità dello studente sia veramente un obiettivo (educativo e didattico) da raggiungere e non un pezzo di carta da conquistare, in qualsiasi modo, a luglio!

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Diario di un preside
maturitàvoto ai sedicenni

Autore: Ciro Raia

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