Caro don Nicola, il tuo invito ad un confronto pubblico (istituzioni e cittadini) è una sorta di chiamata alle armi a cui non ci si può sottrarre. Se qualcuno lo volesse fare, credo che tradirebbe una causa nobile, si sottrarrebbe a un dovere civico. Somma Vesuviana da qualche tempo vive senza misura, corre (corre?) senza redini, costruisce le sue giornate come se non avesse avuto un nobile passato e –cosa ancor più grave- senza dare un senso al suo futuro. Però, ogni mattina, qualcuno appena sveglio, si guarda allo specchio e si bea di aver modellato una città “la più bella del reame”.
Intanto, si registrano –e pare in aumento- in più punti “della ridente cittadina posta ai piedi del monte”, casi di violenza, di soprusi, di diffusa illegalità. Sono tornate a scoppiare le bombe (avvertimenti, sbagli di persona, eccessi di festeggiamenti, altro?) e sul triplice episodio è calato un pesante silenzio; ci sono state rapine (anche a mano armata) e la colpa è stata ascritta a tutti “questi stranieri che affollano le nostre contrade”; sono spuntati coltelli nelle risse e sono state presentate come ragazzate. È mai possibile che tutto quanto accade a Somma Vesuviana non desti preoccupazione, non spinga ad un’assunzione di responsabilità collettiva, non rimetta in discussione l’impegno ed il senso di “essere comunità”?
L’hai fatto tu, don Nicola, giovane parroco –un po’ pasoliniano (io so ma non ho le prove) un po’ mattarelliano (è tempo di costruttori)-, offrendo uno spazio per un confronto, per un’adunanza di popolo, che altre istituzioni non hanno ritenuto utile, se non addirittura appropriata. E l’hai fatto ricorrendo alle parole del profeta Isaia: Sentinella, quanto resta della notte?
Ho colto nel tuo invito che l’incontro, metaforicamente, partendo dalla notte deve guardare al mattino; deve essere utile a prendere atto -e superare con proposte percorribili- la notte delle persone insieme a quella della comunità. Più concretamente, hai sottolineato e, di conseguenza, spinto a pensare che per uscire dalla notte bisogna rifuggire dall’illusione di rimedi facili, da parole ridondanti e senza vita.
Perché è vero, ci sarà anche il mattino ma, poi, seguirà un’altra notte. Bisogna, perciò, prepararsi, attrezzarsi, insistere, indicare qualcosa che serva ora e –soprattutto- domani. Senza ripetere continuamente che ogni guasto è “colpa di quelli che sono stati prima di noi”. Per due semplici motivi: perché, molto spesso, tra quelli che stavano prima, c’erano molti di noi che ci sono anche adesso. E, seconda motivazione più seria, perché ora ci siamo noi, che abbiamo il dovere e la responsabilità di costruire un’altra storia, creando e/o rinforzando la coesione sociale, le competenze e la capacità di futuro.
L’appuntamento è alle 20 di martedì 27 luglio p.v., nella chiesa di San Domenico. Io ci sarò.