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In ricordo di Peppino Tomas

Ciro Raia 5 Febbraio 2017     No Comment    

Ci eravamo sentiti, l’ultima volta, appena una decina di giorni fa. Non erano, fra noi, frequenti né le telefonate né i messaggi; i nostri contatti telefonici e/o epistolari erano legati ad un’occasione (politica, editoriale, di viaggio) ma erano, comunque, sempre intensi e cementati da affettuosa amicizia e da incolmabile nostalgia.

Avevamo una comunanza di esperienze e ricordi infantili/adolescenziali dovuta –diceva lui- a motivi anagrafici (i nostri poco distanti natali: 1947/1950) e geografici (quel cerchio di 500 metri di diametro che identificava, in toto, la Somma Vesuviana teatro di quei ricordi racchiusi nel “Paese di Asso di Bastone). Peppe – mai che l’avessi chiamato Giuseppe- Tomas era stato un allievo modello ed ordinato del vecchio liceo classico “A. Diaz” di Ottaviano. Aveva appena conseguito la maturità mentre io, due classi indietro, ero stato rimandato a settembre in scienze e greco. Non andai a ripetizione da nessun professore; il greco lo “ripassai” da solo, le scienze (ma la mia pecora nera era maggiormente la chimica), invece, le imparai sufficientemente da un quaderno di appunti di Peppino. Il quaderno, a spirale, era zeppo di formule e di spiegazioni trascritte con inchiostro blu e rosso. Qualche giorno prima di affrontare l’esame di riparazione Peppino mi fece anche qualche lezione, sia di scienze che di greco. Lui era bravo, sagace, preparato e di grande onestà morale ed intellettuale.

Dopo gli anni e i furori giovanili, conquistato il lavoro alle dipendenze delle ferrovie dello Stato, lasciò Somma ed emigrò, con la famiglia a Bologna, per la precisione a Sasso Marconi. Non si interruppero, però, mai i nostri contatti.

A Bologna ci siamo incontrati molte volte. Nel capoluogo emiliano, infatti, un altro nostalgico meridionale, Serafino D’Onofrio, animava un’associazione culturale –Reginella– e, quando in qualche occasione sono stato immeritatamente ospitato io, Peppino non mancava mai. Ricordo che a Bologna ci siamo incontrati anche la sera dell’11 settembre 2001; io tornavo da Parma e lui era lì, alla stazione, ad aspettare un treno per Sasso Marconi. Ci abbracciammo, aveva le lacrime agli occhi per quello che era successo a New York; poi, mi disse “non avrei mai pensato io, proprio io, di potermi sentire americano. Ma oggi siamo tutti americani”. Aveva una passione ed un credo politico incrollabili. Sin da giovanissimo aveva militato nel partito comunista, quello vero, quello di sinistra. Ed a quella fonte era rimasto fedele sino alla fine dei suoi giorni. C’eravamo sentiti anche a settembre scorso, quando gli avevo inviato un mio video su Gaetano Arfè e lui mi aveva detto che voleva organizzare un incontro a Sasso Marconi, dove presiedeva la locale sezione dell’Anpi e dove era stato anche – se ricordo bene- vicesindaco. Lui, Peppino, ragazzo del sud, ragazzo di Somma Vesuviana, era riuscito a diventare orgoglio anche di una rossa cittadina emiliana e partigiana.

A novembre scorso, sempre mosso da una sana passione politica che lo collocava dalla parte degli ultimi, mi aveva inoltrato un link “relativo ad un video confezionato artigianalmente dal ns Comitato per il NO di Sasso Marconi che utilizziamo per aprire le nostre numerose iniziative nei territori della provincia di Bologna (particolarmente inquinata dal virus-PD, ombra ultrasbiadita della Sinistra che fu… Un caro saluto da chi è lontano solo fisicamente”.

Peppino amava la sua terra vesuviana ed amava essere ricordato come un antico-compagno-amico. Ogni volta che vi tornava, per qualche giorno, faceva in modo di incontrare quante più persone possibili. Faceva incetta delle ultime pubblicazioni su (e di) Somma Vesuviana e poi, prima di partire, passava per l’antica pasticceria dei miei cugini per riassaporare (in congrue quantità) i sapori del pasticcetto, della pastiera o dei dolci natalizi.

Peppino Tomas era una bella persona, era una bellissima testa ed aveva una bellissima penna. Scriveva poesie, piccoli saggi e, quando lo si invitava per collaborare a qualche lavoro collettaneo, non faceva mancare mai il suo contributo. Aveva una vena lirica e forti riferimenti letterari. Conservo, in particolare, un suo scritto inviatomi a commento de “Il paese di Asso di Bastone”, dove questa sua capacità analitico-lirico-letteraria emerge con tutta la sua forza, specie in un pezzo che riporto integralmente: “Mi soffermo su pagine che mi hanno riproposto due figure che replicano, per certi aspetti, figure a me care (i miei genitori, per l’appunto: sposi in età avanzata…amabilmente grevi, al pari dei tuoi, come se la gioventù non li avesse mai sfiorati…). Ed eccoli come affiorano nei miei ricordi: tuo padre […]  un “caucasico” che ho sempre figurato come un caporeparto ucraino nelle industrie della Russia postbellica e tua madre, immagine speculare della mia rivoluzionaria Frida Khalo (per via di quella ricordata peluria, comune  a tante mie antiche parenti), donna severa, di una simpatia espressa senza sorrisi, da sembrar tradire la presenza di qualche irrilevabile “segreto”…un personaggio che poteva scaturire dalla vena letteraria della Carolina Invernizio o dall’estro poetico di un Neruda che così apostrofa una misteriosa e recalcitrante amante: […] ma tu ti ostini a conservare quell’angolo d’ombra che non voglio[…]”.

E, poi, in una domenica fredda e piovosa di febbraio, arriva quella triste telefonata: è morto Peppino!

Ho perso un amico sincero, è venuto a mancare un altro pezzo della mia vita. Cosa dirti, Peppe, se non che ti ho voluto e ti vorrò un gran bene? Immagino che tu, nel momento del trapasso abbia potuto scrivere nel diario della tua vita quanto –il personaggio me lo hai ricordato proprio  tu- aveva scritto, negli ultimi giorni terreni, proprio Frida Khalo: “Spero che la fine sia gioiosa e di non tornare mai più”.

Un uomo, un padre, un cittadino buono ed onesto come te -se esiste un Dio, un Fato o una Parca- non può soffrire, deve avere per forza un’ultima ricompensa a risarcimento di una vita spesa per la difesa e l’avanzamento degli indifesi, degli umili, degli ultimi della classe. Ed un uomo, un padre, un cittadino buono ed onesto, dopo una vita vissuta sotto il peso di delusioni e sconfitte (avresti/avremmo mai potuto immaginare la scomparsa della sinistra, i muri di Trump, gli innumerevoli barconi affondati nel Mediterraneo, la distruzione dell’Ambiente, l’emorragia delle passioni e delle idee) non può più avere voglia di farvi ritorno.

Una volta mi scrivesti del sentimento di non stucchevole amicizia (condita quando ci si incontra di reciproche ironiche tonalità) che nutro nei tuoi confronti; quel sentimento è ricambiato ampiamente ed amorevolmente. Peppino, buon viaggio per i Campi Elisi, verso le isole dei beati, il luogo dove dimorano le anime di coloro che sono amati dagli dei.

 

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Autore: Ciro Raia

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