Mario Guida ogni mattina, pochi minuti dopo le 7, era già in via Costantinopoli. Parcheggiava la sua Renault Megane grigia quasi sempre all’altezza della statua di Vincenzo Bellini e, poi, si avviava, al marciapiedi opposto. Vestiva con eleganza sobria, con il rosso sempre presente nella cravatta o nei sotto giacca invernali. Stringeva tra le mani un piccolo borsello dove tintinnavano un bel po’ di chiavi.
Lo salutavo, dicendogli che si era pronti ormai per aprire le porte del paradiso. Ed il paradiso era la storica libreria Guida di Port’Alba. Prendevamo il caffè insieme al bar delle Arti; a quell’ora di mattina, talvolta, Amedeo Pianese -il proprietario del bar- non era ancora arrivato. Altre volte, invece, il caffè lo prendevamo al bar sotto l’arco (Caffè Portalba di Roberto Guglielmo) mentre Pasquale, uno degli impiegati della libreria, veniva a prelevare le chiavi per aprire le porte e le vetrine di quel regno di libri.
Dopo il caffè ed una chiacchiera con gli avventori del bar – ma anche con il fioraio, l’ambulante, il farmacista, il pizzaiolo (Mario aveva una parola per tutti)- la tappa successiva prevedeva una sosta da Titina, l’edicolante, con la quale volavano anche baci: era un’amicizia lunga nel tempo. Lì Titina c’era da bambina, come Mario.
Agli inizi di ogni anno scolastico, nei primi due mesi, quando tutti gli studenti e le loro famiglie erano a caccia dei testi prescritti dai loro professori, Mario era dietro il grande bancone, al primo piano della libreria, come un commesso tra i commessi. Prendeva libri, valutava l’usato, sollecitava gli indecisi, citava –senza mai sbagliare- titoli, anni di edizione, case editrici e prezzi. E lo faceva sempre col sorriso sulle labbra, con la battuta pronta e quegli occhiali da presbite, che continuamente inforcava per leggere e poi lasciava cadere sulla camicia (di norma) azzurra.
Nel tempo in cui ho collaborato con la sua casa editrice –ma, forse, è più corretto dire, direttamente con lui- l’ho visto nervoso solo quando dal banco di vendita si doveva spostare ai piani alti, sulla tolda (dicevo io), dove c’erano il suo ufficio, i suoi libri, i suoi trofei e, se ricordo bene, un suo ritratto. Quando, infatti, pigiava il bottone dell’ascensore interno, sembrava di voler essere subito risucchiato nella scatola metallica; era impaziente e se la scatola metallica tardava di un attimo l’arrivo, allora il pacioso Mario cominciava a dare forti manate sulle porte. Era il segnale che bisognava liberare subito l’ascensore!
Mario Guida era uomo di grande intelligenza e di grande umiltà. Spesso, mi immergevo nel tempo e nei ricordi, guardando le innumerevoli fotografie che lo ritraevano, in varie età, negli incontri della Saletta Rossa con personalità di grande prestigio culturale. E lui era lì, senza spocchia, con occhi vivaci e pensiero fervido.
Don Mario Guida– un don di stima e di affetto- se ne è andato a ruota dopo Ermanno Rea e dopo Gerardo Marotta. E il mondo della cultura e la città di Napoli sono diventati un po’ più poveri.
Buon viaggio, Mario, con un grande abbraccio.