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Ciro Raia
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Sandro Petriccione

Ciro Raia 11 Giugno 2016     No Comment    

psiIl nome ed i recapiti di Sandro Petriccione -ingegnere, professore universitario, saggista e pubblicista, oltre che vecchio militante socialista- me li aveva forniti Gaetano Arfé. Il compagno Petriccione per anni ha fatto il pendolare tra la città partenopea e Taranto. Scegliemmo di incontrarci in un pomeriggio dell’ultimo giorno di luglio di qualche anno fa. L’ingegnere abitava in un posto elegante (alla fine di una discesa a mare), incantevole e, al tempo stesso, un po’ selvaggio. Per l’accesso alla sua casa bisognava passare attraverso un giardino dalla vegetazione folta, dimora sicura per i gatti. Poi, nel silenzio della controra, in uno studio silenzioso, colmo di libri e dove “si sta più freschi”, cominciammo la nostra conversazione. Da una finestra socchiusa si vedeva il mare, che sembrava arrivare proprio a lambire la casa. Spesso, le nostre parole erano attraversate dalle sagome dei vaporetti, che seguivano la rotta per Ischia.

  • Anche la sua è una militanza molto antica.
  • Sì, è vero; ho cominciato a fare politica attiva, nel partito socialista, sin dal 1946. Ricordo che c’era un gruppetto di giovani, molto vivaci, tra i quali emergeva, per intelligenza, Giuseppe Ariola, un compagno di Scisciano, località del vesuviano della quale fu anche sindaco.
  • Erano tempi grami.
  • Erano tempi in cui la passione era tanta e fare politica aveva un significato diverso da quello che ha oggi. Pensi che Luigi Renato Sansone, che allora era commissario alla sezione provinciale alimentazione, una volta, in una riunione alla sede di Pizzofalcone, procurò a noi giovani, squattrinati ed affamati, qualche panino, finendo, per questo accusato di tentativo di corruzione. Quando passammo a Piazza Dante ricordo una sede molto bella ma spoglia. Una volta che arrivò Nenni, per un incontro, eravamo ad aspettarlo in non più di quattro o cinque. Alla stazione andò a prenderlo, con la sua automobile, Sansone, che, a fine incontro, a spese sue, ci portò tutti a mangiare in un modestissimo ristorante di San Sebastiano al Vesuvio.
  • Che tipo di organizzazione vi impegnaste a dare al partito?
  • Avevamo cercato di costruire un partito su base leninista, fortemente centralizzato. Per questo giravamo continuamente per le sezioni e facevamo in modo che prevalessero le decisioni prese in Federazione. Ricordo che una volta un vecchio compagno di una sperduta sezione di paese mi disse: “cambiano i musicanti ma la musica è sempre la stessa!”.
  • Quali erano i rapporti col partito comunista?
  • Si può dire, tranquillamente, che marciavamo insieme. Facevamo incontri comuni ed assumevamo decisioni e percorsi comuni. Solo che la migliore organizzazione comunista riusciva a tradurre anche in consensi elettorali l’attivismo e l’impegno profusi. Per noi socialisti, invece, i risultati elettorali erano sempre abbastanza deludenti.
  • Ma ci fu un momento in cui si cercò di dare una maggiore visibilità al partito e, nel contempo, si riuscì a riscuotere anche qualche consenso elettorale in più?
  • Con l’assunzione della segreteria provinciale da parte di Francesco De Martino, che insieme a pochi altri giovani compagni, cercò di mettere in piedi un’organizzazione degna di questo nome. In effetti la “rivoluzione demartiniana” previde il pensionamento degli avvocati anziani, che erano espressione di un vecchio modo di interpretare e fare la politica. Solo così fu possibile costruire un partito più organizzato e politicamente più incisivo.
  • E poi che evoluzione ci fu?
  • Che per un po’ di anni, nel periodo precedente alla formazione del centrosinistra, il partito socialista ebbe un ruolo di primo piano, nella città di Napoli, da fare invidia allo stesso PCI. Si era formato, infatti, un gruppo dirigente di primo piano, tra i quali ricordo di aver felicemente collaborato con Roberto Laviano, Antonio Lombardi, Pietro Lezzi ed Antonio Caldoro. Poi, con l’aumento dei voti cominciarono a mutare anche gli orientamenti politici, per cui il partito cominciò a fare solo operazioni clientelari. Per non parlare del braccio di ferro tra De Martino e Caldoro per il controllo della Federazione.
  • Questo stato di cose contribuì anche al suo allontanamento dalla vita del partito?
  • Il mio disinteresse si andò accrescendo nel tempo, vedendo anche il tipo di personaggi che andava ad occupare potere nel PSI. Basti pensare che, in quel periodo, per personalità della caratura di Gaetano Arfé e Silvano Labriola fu necessario trovare spazio, rispettivamente, a Parma ed a Roma.
  • Mi è stato riferito che nel 1956 si trovava a Budapest ed assistette all’arrivo dei carri armati Lo vuole ricordare quell’episodio?
  • Ero stato già a Mosca nel 1951, dove prima di me erano stati Giorgio Amendola e Francesco De Martino. Poi, nel 1956, Dario Valori mi designò, forse per le mie posizioni leniniste, quale rappresentante socialista nella Federazione giovanile mondiale democratica. Per cui mi trovavo a Budapest e calcolavo di essere presente alla trasformazione che si, credeva, sarebbe avvenuta dopo il XX Congresso dell’URSS. Cercai, pertanto, di stabilire rapporti con scrittori ed intellettuali ungheresi. Vidi solo la prima parte della rivoluzione; riuscii a lasciare l’Ungheria appena prima della seconda invasione. Fui fortunato, perché gli altri italiani presenti rimasero asserragliati e dovettero riparare nell’ambasciata, da dove ne uscirono solo per essere accompagnati alla frontiera. Una volta a Roma, feci un resoconto dettagliato degli avvenimenti a Nenni, che rimase molto impressionato. Pertini, invece, ai dettagli del mio racconto, continuava a ripetere: “Non ci credo”. E Nenni, arrabbiato, aggiunse: “Lascialo perdere, non ha capito niente!”. [1]
  • Dopo gli anni di tangentopoli, la crisi dei partiti, la scomparsa di autentici fari della sinistra in genere e del movimento operaio, è ancora possibile pensare, a Napoli, alla costruzione di una forza progressista unitaria?
  • Un disegno riformista nella città delle “quattro giornate”, secondo me, sarebbe ancora possibile, a condizione, però, di stanare ed avere il coraggio di mettere fuori alcuni personaggi, che a parole si definiscono progressisti, ma nei comportamenti non fanno altro che danneggiare e mortificare tutta la sinistra, insieme alla storia ed alle lotte che ne hanno caratterizzato il cammino.
  • La sua amicizia con Arfé?
  • Sono stato funzionario di partito e l’amicizia risale agli inizi degli anni ’50, quando Gaetano ed Anna Pagliuca, allora fidanzati, venivano alla sede del Comitato Regionale socialista, dove allora c’era Ugo Minichini. Di lì, poi passavano alla Federazione, in Piazza Dante. Ci siamo visti tantissime volte, compreso il giorno delle loro nozze, quando gli sposi offrirono un piccolo ricevimento proprio in Federazione. Quando, poi, Gaetano fu trasferito a Firenze, anch’io, che intanto avevo lasciato l’attività politica e mi ero laureato, ebbi un posto di lavoro nella città toscana. Ed allora lo andavo a trovare, utilizzando la Vespa dell’azienda, e, spesso, si rifletteva sulla necessità di dare valore alla tradizione socialista, in contrapposizione a quella comunista”. Ho seguito Gaetano, passo passo, quando era alla direzione dell’Avanti! e, poi, quando era deputato a Parma e, per conto di De Martino, punto di riferimento socialista nell’Emilia. In ogni incarico, sempre, Arfé ha curato poco l’organizzazione e moltissimo il pensiero. Spesso, ricordo che i compagni della redazione dell’Avanti!, nel clima un po’ goliardico che vi regnava, puntando anche sulla sua distrazione, gli facevano scherzi a bella posta. Una volta, dovendo parlare di una monaca, a nome Pagliuca, che terrorizzava gli anziani in un ospizio, titolarono l’articolo: La Pagliuca è un mostro! (equivocando sul cognome della moglie di Arfé). Un’altra volta, ad una notizia ANSA, che annunciava la nomina di Anastasi Tianov a capo del KGB, allegarono una mia foto. E Gaetano, guardandola, aggiunse: non lo vorrei incontrare! ”.
  • Oggi sono altri tempi. Sembra che di partito e di partiti non se ne voglia parlare proprio più….
  • “Da osservatore, ma anche da persona che ha vissuto tempi politici ormai preistorici, credo che sia necessario cominciare a costruire dalla base. Bisogna partire di nuovo dai circoli, bisogna incontrare i giovani; il tempo, purtroppo, ha lavorato contro di noi. Una cosa, infatti, Gaetano non ha mai raccontato con piacere: dopo tangentopoli, c’è stata una persecuzione di tutti i socialisti, i buoni e i cattivi. C’è stato il tentativo, quasi riuscito, di infangare, o quantomeno, ignorare completamente la tradizione socialista. Proprio su questo terreno così accidentato, giganteggiano le riflessioni, gli studi ed il cuore socialista di Gaetano Arfé ed i quanti hanno seguito i suoi insegnamenti”.

 

 

[1] Petriccione riferì dei fatti d’Ungheria anche alla Federazione di Napoli, dove la testimonianza, però, non suscitò forti turbamenti. Raccontava, infatti, Antonio Lombardi  che: “Petriccione, nella sede del PSI di piazza Dante, ci aveva riferito di scene drammatiche accadute in quei giorni sotto i suoi occhi: funzionari del Partito e del Sindacato appesi ai pali della luce. Una reazione così violenta, dovuta all’esasperazione della gente comune, la quale viveva in condizioni di indigenza e vedeva, quindi, nei propri dirigenti, politici e sindacali, dei veri privilegiati, che disponevano di spacci alimentari propri e godevano, con le loro famiglie, di altre gratificazioni negate ai comuni cittadini. Noi, per la verità, pur turbati, non gli demmo credito e preferimmo, conformisticamente (come si usava allora), pensare ad una esagerazione del compagno che, infatti, fu liquidato con l’etichetta di destra”.

 

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Autore: Ciro Raia

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