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Ciro Raia
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Tredici anni dopo la morte di Francesco De Martino

Ciro Raia 22 Novembre 2015     No Comment    

Sono passati tredici anni (era il 20 novembre 2002) da quando le spoglie mortali di Francesco De Martino riposano nel cimitero di Somma Vesuviana. Vi arrivò in un luminoso pomeriggio autunnale. La mattina c’era stata una commossa ed intensa cerimonia, nell’atrio dell’Università di Napoli, per l’ultimo saluto al Professore: vi era una folla immensa di compagni e di amici (ammassati anche lungo il Corso Umberto I). Attorno alla bara di De Martino, oltre ai familiari e ai tanti rappresentanti della cultura e del mondo accademico, c’erano –sembra già preistoria!- Azelio Ciampi (Presidente della Repubblica), Gianfranco Fini (Vice Presidente del Consiglio dei Ministri), Marcello Pera (Presidente del Senato), Enrico Boselli (Segretario Nazionale dello SDI), Emilio Colombo (più volte Ministro e Presidente del Consiglio), Piero Fassino (Segretario Nazionale dei DS), Nicola Mancino (già Presidente del Senato), Antonio Bassolino (Presidente della Regione Campania), Rosa Iervolino (Sindaco di Napoli).

A Somma, invece, ad attendere la salma del Professore vi erano molti tra parenti, amici e vecchi militanti di una sinistra in estinzione, tutti compunti e commossi. Il corteo silenzioso percorse il lungo viale laterale, tra i cipressi, e si fermò in prossimità di una cappella austera, disadorna, essenziale, com’era stato il carattere in vita di chi stava per accogliere nel riposo eterno.

Il legame con la cittadina vesuviana era molto antico, risaliva all’infanzia del Professore. Elisa Angrisani, sua madre, era di Somma Vesuviana e vi abitava con la sua famiglia; più volte De Martino aveva raccontato: “Da ragazzo andavo a Somma e vi passavo molto tempo, specie d’estate. I primi ricordi dell’adolescenza sono legati alla pratica sportiva del calcio ed io, a sedici anni, ero uno di quelli che lo coltivava. Attorno a questa passione si fondò il circolo sportivo “Viribus Unitis”, che aveva come attività principale una squadra di calcio dilettante ma competitiva nelle manifestazioni a cui partecipava”. Erano i primi anni venti del secolo scorso, gli anni che avevano segnato la fine del regime liberale ed inaugurato il ventennio fascista. Erano gli anni delle prime contese politiche tra i giovani ed anche quel circolo sportivo ne era divenuto oggetto: “Noi lo volevamo solo per noi, ma anche i fascisti dell’epoca volevano metterci le mani sopra. C’è stata una lotta che è durata alcuni anni; naturalmente l’abbiamo persa ed il circolo fu smobilitato”. Frequentando Somma, De Martino era diventato amico di Gino Auriemma, di Raffaele Arfé (il padre di Gaetano), di Francesco Capuano (primo sindaco comunista dopo la Liberazione), di Gennaro Ammendola e di tanti altri. Questo manipolo di giovani, sin dal tempo del delitto Matteotti, aveva tentato di manifestare il proprio dissenso al regime, issando una bandiera rossa sul vecchio campanile di San Domenico o sostenendo le ragioni di un voto contrario al fascismo nelle elezioni del 1924.

Una volta De Martino aveva rischiato anche di essere arrestato per diffusione di notizie provenienti da “Radio Londra”; perché -era vero- egli, insieme ad i suoi pochi amici antifascisti, si riuniva a casa di Gino Auriemma per ascoltare le notizie di quella radio, che era solita aprire le trasmissioni con le prime note della Quinta Sinfonia di Beethoven. Ma la sera in cui ci furono l’arresto degli amici “clandestini” e la perquisizione dell’ambiente, il Professore era stato trattenuto a casa da un malanno della moglie, sottraendosi così, solo per un fortuito caso, a qualche mese di carcere ed al successivo verdetto di ammonizione, emanato dalla commissione per il confino. Durante gli anni della guerra, poi, i contatti con Somma si erano allentati; gli impegni accademici, infatti, trattenevano il Professore tra l’Università di Messina e quella di Bari, lontano dalla terra della madre, dove aveva fatto ritorno solo quando il conflitto mondiale stava per volgere al termine. “Verso la fine della guerra, con Napoli sempre bombardata, con un figlio piccolo (Armando) ed io sempre in viaggio, pensai di portare la famiglia a Somma, dove andammo ad abitare in un palazzo in piazza Trivio. Ma anche Somma fu obiettivo delle incursioni aeree. Impossibilitato a raggiungere Bari, per carenza di trasporti, ero sovente nel paese vesuviano. Mi ritrovai lì anche alla caduta del fascismo”. Non ci furono scene di gioia la sera del 25 luglio 1943; non ci furono assalti alla sede del fascio; la popolazione sommese se ne stette quieta e lontana dai simboli del regime; c’erano pensieri e preoccupazioni più gravi ed erano i bombardamenti, gli stenti quotidiani, le morti e quella domanda martellante: ma la guerra è finita? “Alla caduta del fascismo non eravamo tranquilli, perché il messaggio di Badoglio non annunciava niente di buono, dato il divieto assoluto di ricostituire i partiti. La prima cosa che facemmo fu di occupare la sede del fascio, la vecchia sede della “Viribus Unitis”, per tentare di organizzare qualcosa. Ma con l’8 settembre la situazione divenne più difficile e si aggravò di un altro problema: non cadere in mano tedesca. Durante l’occupazione predisponemmo un programma di sabotaggi (fili tagliati, comunicazioni interrotte), rischiando continuamente rappresaglie”.

   Passò la guerra, passarono le rappresaglie, passarono le restrizioni imposte dagli alleati. Giunse il tempo del referendum istituzionale. A Somma la monarchia era radicata ed i sommesi, come gran parte degli italiani, non avendo perfettamente capito il connubio monarchia-fascismo, continuavano  ad esprimersi a favore della casa reale. Perché repubblica era inteso alla stregua di anarchia; perché repubblica –nell’immaginario collettivo- voleva dire disordine; perché monarchia significava, invece, ordine dello Stato e validità delle monete. Come aveva spiegato Assunta Raia, una vecchia operatrice ecologica, che interrogata perché, ella, povera, si ostinasse a votare per la monarchia, aveva risposto: –si cade ‘o rre, ‘e solde nu’ valene cchù!

  Dalla fine degli anni ’40 gli impegni di studio e quelli politici avevano allontanato, poi, sempre più Francesco De Martino da Somma, dove ritornava solo per far visita alle sorelle, per incontrare i compagni socialisti il giorno di capodanno, per comizi di affollatissime campagne elettorali, per ritirarsi, talvolta, a riflettere su fatti e situazioni delicate personali e/o del Paese. C’era sempre, infatti, una sorta di perenne cordone ombelicale con quella terra, perché “ a Somma si è consumata la mia gioventù; perché vi sono nati i miei figli Guido ed Antonino; perché ci sono un clima ed un ambiente particolare, che hanno favorito la mia passione per la caccia. Ricordo che, fanciullo di 11 o 12 anni, trovai un vecchio fucile ad avancarica otturato e, incorrendo nelle ire di un mio zio, mi precipitai da un armiere per farlo riattivare”.        

L’ultimo impegno pubblico di Francesco De Martino a Somma Vesuviana risale al 1995, quando, in occasione del 25 aprile, tenne un’indimenticabile lezione sui valori della democrazia e della libertà; quando, consegnando ai tanti giovani presenti la sua speranza per il futuro, ancora una volta, con sofferenza, aveva ammonito che “politica e morale non sono valori distinti e separabili; che ogni cittadino ha il dovere di partecipare alla vita del paese con impegno e tormento, perché la milizia seria non è mai fatta di scelte facili, ma di rigore ideale e morale”.

  Nei primi anni seguiti alla scomparsa del Professore a Somma Vesuviana si sono avuti frequenti incontri pubblici, in cui, spesso, chi è intervenuto, dando una personale interpretazione dell’insegnamento politico e morale di Francesco De Martino, si è dichiarato erede delle idee e della necessità di costruire una sinistra unita; una sinistra scomoda, in grado di raccontarsi per il dovere di dar conto e non per il piacere di esibirsi. Sul versante dell’appartenenza, delle radici, della memoria ci sono stati tanti buoni propositi, che andavano dall’intenzione di voler dedicare l’aula del Consiglio Comunale allo scomparso Professore  a quella di volergli intitolare la Piazza principale a quella di erigergli un busto marmoreo.

E così nel terzo anniversario della sua morte l’Amministrazione Comunale di Somma Vesuviana gli aveva intitolato la piazza principale del paese. Una piazza che si era chiamata, di volta in volta, Piazza Ravaschieri, Piazza Vittorio Emanuele III, Piazza Trivio.

Nella ricorrenza, però, del quarto anniversario della morte del Professore, l’allora sindaco in carica, sventolando una “delibera irregolare”, decise che quella piazza non si poteva chiamare Piazza Francesco De Martino. Lo fece qualche giorno dopo aver fatto incidere il proprio nome sopra il rinnovato monumento ai caduti di tutte le guerre. Quel sindaco, allora, fece cancellare il nome dell’illustre concittadino e disse che la piazza avrebbe ripreso il vecchio nome di Piazza Vittorio Emanuele III, il re sabaudo, il re fascista. Anzi, aggiunse che a suffragare la scelta “ci sono motivi storici; la piazza ha sulla scalinata lo stemma sabaudo, fu inaugurata dal re in persona!”. Anche se il re Vittorio Emanuele III è stato -come tutti sanno- unanimemente riconosciuto dagli Storici essere stato complice del fascismo e dell’entrata in guerra dell’Italia, nonché firmatario delle leggi razziali del 1938. Ma tant’è e la piazza ancora oggi è intitolata al re sabaudo, responsabile morale e politico di centinaia di migliaia di morti.

Francesco De Martino (nato nel 1907), a beneficio di quanti lo dovessero ignorare, è stato Professore di Storia del Diritto Romano, Accademico dei Lincei, Autore di numerose opere nel campo delle istituzioni e dell’economia dell’antica Roma (tradotte in tutto il mondo), Deputato al Parlamento dal 1948 al 1983, Senatore dal 1983 al 1987 e poi Senatore a vita [1991]; è stato Segretario nazionale del Psi [negli anni 1963-66; 1969-70 e 1972-76] e vice Presidente del Consiglio dei Ministri [negli anni 1968-69 e 1970-72]).

All’epoca dello sciagurato scippo della targa, che intitolava la Piazza a Francesco De Martino, la Città di Somma Vesuviana cadde negativamente sotto la luce dei riflettori della stampa nazionale. Molti nomi del mondo della cultura e della politica come Gaetano Arfè, Aldo Masullo, Antonio Bassolino, Massimo D’Alema, Andrea Geremicca e innumerevoli altri invitarono le autorità locali ad emendare l’errore (forse è meglio dire a cancellare il torto) perpetrato a danno della memoria di Francesco De Martino.

Molte comunità -oggi- stanno revisionando la toponomastica e stanno sostituendo nomi di strade e piazze  intitolate a uomini ritenuti simboli negativi per la storia d’Italia e, quindi, non più rappresentativi. A Mestre, per esempio, il Piazzale intitolato al generale Luigi Cadorna (protagonista, nel 1861, della repressione nelle province meridionali e degli eccidi di Casalduni e Pontelandolfo) è stato cancellato; a Catania, la Piazza Vittorio Emanuele III (nota anche come Piazza Umberto) è stata intitolata ad Ettore Majorana. Pochi giorni fa, a Napoli, la strada denominata Via Gaetano Azzariti (Presidente del Tribunale della Razza) è stata cancellata e ribattezzata Via Luciana Pacifici (una bambina ebrea di 8 mesi morta nel campo di Auschwitz).

A questo elenco (in concreto molto più lungo ed articolato) di realtà locali, che stanno regolando i conti con la Storia, ci vorrà ancora molto tempo perché si aggiunga anche Somma Vesuviana?

 

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Autore: Ciro Raia

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