A pochi giorni dalla Giornata della Memoria ricorre, il 10 febbraio, il Giorno del Ricordo. La data di quest’ultima commemorazione fu istituita dal Parlamento italiano con legge 92/2004, “al fine di conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo delle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale”. Ma un sempre più ricorrente utilizzo strumentale della Storia è riuscito ad enfatizzare “la tragedia degli italiani vittime delle foibe”, riuscendo, invece, a sminuire “la più complessa vicenda del confine orientale”. E così capita che, spesso, le foibe siano presentate come una shoah di destra in contrapposizione ad una di sinistra, ben sapendo, in tal modo, di alterare verità, storia e significati.
Senza andare molto indietro nel tempo, è bene ricordare che nel Regno d’Italia si era sempre segnalata fortemente difficile la convivenza tra gli italiani e l’etnia slavo-croata. Sin dal 1920, poi, Mussolini aveva rincorso l’obiettivo di espellere gli slavi – “questa razza barbara ed inferiore”- da tutto l’Adriatico. Successivamente, con la presa del potere da parte del fascismo, le terre al confine orientale avevano subito, insieme all’imposizione della lingua italiana e l’eliminazione dello studio delle lingue slave, continue violenze nei confronti dei dissidenti al regime e persecuzioni per quanti (ed erano la maggioranza) non si erano integrati nel nuovo corso statale. Si era cercato scientemente di eliminare identità e cultura di un popolo intero! Imperversarono in quei giorni le schedature fasciste della popolazione; chi si professava comunista o ritenuto responsabile di atti contro i militari italiani veniva condannato alla pena di morte; molti beni furono confiscati e molte case furono distrutte; si pensò, però, a costruire molti luoghi di tortura, le famigerate “ville tristi”.
Ma dopo l’8 settembre 1943, mentre svaniva il sogno italiano di un fascismo di frontiera e si poneva così fine all’incubo ventennale da parte slava, si verificavano alcuni rilevanti avvenimenti, la cui importanza ai fini di una corretta analisi storica è spesso sottovaluta. In Europa scoppiava, infatti, una guerra tra gli ex alleati per il petrolio rumeno; in Italia, invece, si generava parecchia confusione tra i partiti d’opposizione e lo stesso Pci, che dipendeva ancora dalla Russia. Nelle terre orientali di confine, intanto, la popolazione italiana residente era tra due fuochi: da una parte i tedeschi, dall’altra i titini. Emergeva lo spirito nazionalista dei partigiani, che, rivendicavano la completa sparizione con l’eliminazione fisica della classe dirigente locale in caso di mancata collaborazione. Vennero istituiti anche i tribunali del popolo, per giudicare i fascisti italiani, che apparivano divisi, confusi, allo sbando, incerti tra la scelta di un governo del sud e la RSI. E successe, quindi, che, a causa di un Vittorio Emanuele III e di un Badoglio in fuga al sud dell’Italia, di un Mussolini-fantoccio in mano tedesca, dell’offensiva tedesca contro un paese fino a poco prima alleato e della difficile circolazione di informazione con il CLN, gli italiani residenti nelle terre di confine finissero col rientrare tutti in una semplice equivalenza: italiano uguale a fascista. L’anarchia del dopo armistizio generò, poi, l’intervento dei partigiani slavi in nome del popolo mentre montava anche l’insurrezione dei contadini croati, che con le armi lasciate dai militari italiani in fuga, si abbandonavano ad ogni tipo di violenza.
Nel maggio del 1945, con la fine della guerra, crollò il potere nazista, che venne sostituito dal movimento di liberazione jugoslavo, cui si unirono i comunisti italiani. Dopo circa un mese –ma solo a Trieste, Gorizia e Pola- subentrò il nuovo ordine angloamericano, che si avvalse della collaborazione degli antifascisti non comunisti. Si avviarono i processi politici, che, a differenza di quelli italiani, si fondarono su una guerra di liberazione, che era stata anche guerra civile e rivoluzione!
Il Movimento di liberazione creò una zona libera, instaurò poteri popolari, procedette ad eliminare i “nemici del popolo” (sloveni, cetnici, serbi, élites locali, vittime di vendette personali), che furono arrestati, processati, fucilati e spesso scaraventati in fosse comuni.
Le foibe sono delle cavità naturali, degli inghiottitoi tipici dei terreni carsici. Spesso, però, furono utilizzate anche cavità di natura artificiale come le miniere di bauxite dell’Istria ed i pozzi delle miniere di Basovizza. In realtà le vittime degli eccidi tra il 1943 ed il ’45 morirono non solo nelle foibe ma maggiormente nelle carceri, durante le marce di trasferimento, nei campi di prigionia.
Alla fine, nell’immaginario collettivo, gli infoibati sono tutti gli uccisi per mano dei partigiani comunisti sloveni, croati ed italiani; sono le vittime degli ultimi due anni di guerra; sono le vittime delle violenze subite dagli italiani nel secondo dopoguerra istriano.
Si sa, gonfiare le cifre di un avvenimento serve ad alimentare la retorica e l’importanza del fatto stesso. Con il rispetto che si deve ad ogni vita soppressa, si deve, però, constatare che il numero degli infoibati –stando alle testimonianze ed agli studi degli storici- è di numero molto esiguo rispetto a cifre a sei zero, che un uso strumentale della Storia tende a presentare. Non è partigianeria né negazionismo o riduzionismo, ma è impensabile porre su un piano di parità i morti delle foibe con quelli del genocidio degli ebrei. Maggiormente perché al pur drammatico evento delle foibe mancò ogni volontà o disegno preordinato per realizzarlo e, perciò, in alcun modo definibile col termine di olocausto! E perciò lo schema di lettura delle foibe in chiave essenzialmente nazionalista, non può/deve essere continuato, perché risulta imperniato su una falsa ed artata contrapposizione razzista tra la civiltà latina e la barbarie slava.