Dopo la recentissima pubblicazione del rapporto OCSE sulla “Strategia per le competenze”, molti si saranno soffermati a commentare solo il dato politico più eclatante fatto circolare: c’è un divario tra gli studenti di Bolzano e quelli della Campania equivalente a più di un anno di scuola! Non so, però, quanti contemporaneamente abbiano pensato di essere di fronte a notizie manipolate o, comunque, non diffuse con completezza. Non è questione di campanilismo ma solo di correttezza dell’informazione. Non è vero che nella scuola c’è un’Italia a due velocità e che gli studenti del Sud imparano meno rispetto ai coetanei del Nord. È vero che è di moda, negli ultimi tempi, ridurre ogni cosa a test. E il test, come si sa, richiede necessariamente delle risposte, che costituiscono il fine ultimo di concezioni pedagogiche, le quali, però, mirano ad escludere la capacità di saper fare le domande. Una prova standardizzata, infatti, annulla tutte le teorie e le pratiche basate sul concetto della programmazione, sul raggiungimento degli obiettivi nelle aree cognitive e non, sulla modifica costante dei comportamenti. La prova standardizzata è un sinonimo di “a domanda risponde“; la prova differenziata, al contrario, riconosce e valuta “a partire dalle situazioni di ciascuno“. E, a volerla proprio dire tutta, la prova standardizzata è fuorviante nella scuola, perché introduce un concetto più vicino alla scienza della misurazione (docimologia) che non a quella della valutazione.
Ciò che fa la differenza del “nostro” sud col centro-nord (un certo centro-nord!) è la presenza (puntuale, talora quasi “asfissiante”) delle istituzioni ed il senso dello Stato, che da esse ne deriva. In tale contesto, la scuola, nel suo insieme, se ne avvantaggia, perché gode di maggiori opportunità, perché i servizi funzionano, perché si respira l’aria della concertazione con un personale scolastico in gran parte di origine (o proveniente) dal sud. È chiaro che, in questa ottica, non sono “gli studenti del Sud, di serie B”; sono, al contrario, la politica ed i politici del Sud di serie B! Sono quella politica e quei politici, che, per anni, per esempio, hanno consentito che molti appartamenti privati, adibiti a locali scolastici, fossero presi in fitto e pagati profumatamente; sono quella politica e quei politici che hanno fatto in modo che le risorse assegnate (fondi, strutture, strumenti) alle scuole meridionali fossero dissipate per il sistema clientelare che le governava (appartenenza politica o sindacale); sono quella politica e quei politici, che in combutta anche con la malavita organizzata, hanno fatto in modo che quest’ultima entrasse finanche nella gestione dei concorsi, nell’assegnazione delle cattedre, degli LSU, dei PON, dei POR.
È questo malcostume politico-culturale che determina un’Italia a due velocità! È la scuola intenzionalmente pensata e rinsecchita delle sue potenzialità e delle sue risorse; è la scuola/istituzione volontariamente tradotta in una insolita dimensione di azienda, in cui gli alunni sono considerati alla stregua di materiali inerti: i buoni da una parte, quelli di risulta dall’altra.
La differenza della scuola, perciò, non la fanno solo il tempo pieno né solo i molteplici stimoli presenti in talune realtà. La differenza la fanno gli uomini politici, che si candidano a tradurre i tanti progetti in reali processi, con tangibili risultati (prodotti) di cambiamento. E, quindi, non si può ragionare di nessuna ricerca shock dell’Invalsi, dell’OCSE o di altri centri-studio, che faccia presagire un futuro da serie B agli studenti del sud. Sarebbe stato, forse, più corretto parlare di una ricerca funzionale ad una idea di scuola, che è prigioniera della logica dello spoil system, dei funzionari incapaci, dei politici miopi. Che, a ben considerare, forse sono gli unici a dover giocare nella serie cadetta.