Nella comunità cittadina l’annuncio aveva destato numerosi interrogativi misti a grande curiosità. Per le elezioni amministrative, previste a giugno, sarebbe stata presentata la lista Cete, composta da tutti i componenti la famiglia che dava il nome alla stessa lista. Il simbolo della lista avrebbe contenuto l’immagine di un incensiere, a forma di piatto, sostenuto dalla testa di una sfinge.
A cose fatte, onde evitare possibili confusioni ed errori tra gli elettori, ogni componente la lista Cete era accompagnato da un appellativo, quello col quale lo conoscevano nella comunità cittadina. Era, infatti, scritto (alcuni nominativi a mo’ di esempio): Cete Patrizio detto il mangia, Cete Silvano detto il prestidigitatore, Cete Ofelia detta la cornucopia, Cete Ottavio detto il diecipercento, Cete Zaira detta l’abbuffata e così di seguito per tutti i nominativi.
La lista Cete fu salutata come unica novità di rilievo in quella tornata elettorale. Finalmente uno scossone in una competizione che presentava, da oltre trent’anni, sempre gli stessi nomi. Alcuni candidati, infatti, si erano iscritti nelle liste, per la prima volta, all’età di vent’uno anni (quando avevano raggiunto la maggiore età) e avevano continuato a farlo anche quando di anni ne avevano più di ottantaquattro!
In casa Lucerna, intanto, Flavio, studente di terzo liceo classico, mentre si discuteva delle imminenti elezioni, sosteneva che Cete era anche il nome di un mitico re d’Egitto, che –secondo quanto scritto da Diodoro Siculo- aveva il potere di trasformarsi in ciò che voleva (animale, albero, fuoco e tanto altro ancora). Poi, sghignazzando, il giovane studente aveva aggiunto: “nomina sunt omina”. Il padre, antico affiliato alle regole dei partiti, aveva chiesto la traduzione e, avendone appreso il significato (il nome è un presagio), aveva pensato tra sé e sé che la cultura è il male dei popoli e che sarebbe stato meglio se quel suo Flavio fosse andato a coltivare la terra (meglio si t’’mparave zappatore) invece che andare a scuola!