Era irriverente, sornione, beffardo, canzonatorio, talvolta, quasi blasfemo. Era Nicola Polise. Era un vigile urbano di Somma Vesuviana; era in pensione da poco tempo. Era un comunista, ora, senza tessera; era un comunista, perché metteva in comune ciò che aveva. Da ragazzo, metteva in comune una sigaretta, un grappolo d’uva o un sorso di vino. Da adulto metteva in comune i pomodorini del Vesuvio, i funghi, il caffè, se ti incontrava al bar.
Di carattere gioviale, scanzonato, era sempre sorridente, anche quando era nervoso. E non che avesse una maschera di ilarità. È che prendeva ogni cosa con leggerezza ma non con superficialità, con filosofia ma non con la faccia di circostanza degli ipocriti per mestiere.
Con Nicola siamo stati ragazzi insieme. Era il tempo in cui eravamo certi di poter cambiare tutto. Aveva frequentato il mio stesso ginnasio ma, poi, non so bene perché, non continuò gli studi. Era, con alcuni altri nostri amici, un iscritto alla sezione del vecchio Pci. E io dovevo sorbirmi continui rimbrotti, perché, invece, ero (a loro dire) solo timidamente rosso. Ero socialista.
Ma Nicola, però, era un comunista casinista; era un amicone; era capace di sostenere posizioni estreme, pensieri insostenibili, salvo, poi, a cambiare all’ultimo momento, con una risata, con una battuta, con lo sguardo di sguincio, al punto di sembrare affetto da strabismo.
A volte, quando ci si incontrava per le strade del nostro paese, facevo finta di non vederlo e non lo salutavo.
Perché non mi saluti?
Perché non mi va di salutare gente come te!
Quanto sei antipatico. Vieni qua, dammi un bacio.
Questo era Nicola Polise, il vigile urbano. Questo era, sia che indossasse la divisa, sia che si trovasse all’Arci, sia che distribuisse un foglio di protesta, sia che vestisse gli abiti del montanaro ai piedi del santuario della Madonna di Castello.
Srotolando la pellicola di una vita, emergono alcuni fotogrammi di e con Nicola irriverente, sornione, beffardo, canzonatorio, talvolta, quasi blasfemo.
Una volta stavamo conducendo una battaglia per sensibilizzare i politici a interessarsi allo scavo della villa romana (non c’erano ancora i giapponesi) in località Starza della Regina. Avevamo preparato carte, allertato radio libere, sollecitato parlamentari. Arrivarono i deputati comunisti Renato Nicolini ed Andrea Geremicca. Io cominciai a illustrare i motivi dell’incontro; trovai l’attenzione del solo Geremicca. Nicola e Nicolini (non è un gioco di parole) erano seduti in un campo vicino e, tranquillamente, mangiavano fave fresche.
Un’altra volta, al tempo in cui sedevo in consiglio comunale, mi ero fatto prendere un po’ la mano ed avevo invitato il presidente dell’assemblea, per la sua inanità, ad uscire di scena, anzi, come si dice da questa parti, ad “uccidersi”. Il presidente impazzì, chiese ai vigili presenti di arrestarmi e sospese la seduta. Fuori dall’aula consiliare trovai Nicola, che, quasi disteso a terra, rideva a crepapelle, con le lacrime agli occhi.
Rideva. Rideva e fumava. Fumava e rideva. Lo fece anche il giorno di una lontana campagna elettorale per le comunali. Doveva venire, per un comizio, Giorgio Napolitano, che non era più uomo di punta dei comunisti e non era ancora in odore di presidenza. Napolitano arrivò con la sua automobile, che dovette parcheggiare nei pressi del cinema, perché i vigili non gli consentirono –era domenica- l’accesso per via Casaraia. Lo prelevammo io e Nicola e l’accompagnammo in piazza. C’erano in tutto una decina di persone, compresi noi due. Napolitano parlò dalle scale, non c’era nemmeno un palchetto. Alla fine lo portammo al bar; venne a salutarlo solo il vecchio compagno comunista Pasquale Di Palma. Si toccava con mano che c’era aria di freddezza. Allora Nicola disse: “Giorgio, nun te piglià collera; sono tutti pezzenti”. E finì tutto in una risata.
Nicola, infatti, era irriverente, sornione, beffardo, canzonatorio, talvolta, anche blasfemo. Però, aveva un cuore d’oro. Ed era sempre dalla parte dei più deboli. Ed ai più deboli portava, soprattutto, il sorriso. Perciò si prendeva gioco di tutto e di tutti.
Ricorderò così, per sempre, Nicola. E sarò io, per sempre, a dirgli: quanto sei stato antipatico ad andartene; vieni qua, dammi un bacio!