Il 13 settembre, oggi, ricorre il decennale della morte di Gaetano Arfé. Era nato a Somma Vesuviana, nel 1925; aveva cominciato giovanissimo la sua militanza politica nel capoluogo campano, aderendo a un gruppo clandestino di “Italia Libera”; aveva partecipato alla Resistenza in una formazione partigiana di “Giustizia e Libertà”, in Valtellina, luogo in cui aveva aderito al partito socialista italiano. Arfé è stato direttore –insieme a Francesco De Martino e Antonio Giolitti- della rivista “Mondo Operaio” e, dal 1966 al 1976, è stato anche direttore dell’Avanti! Per oltre 20 anni è stato senatore del Psi e, per una legislatura, ha occupato anche lo scranno del Parlamento Europeo, in rappresentanza dell’Emilia Romagna. Nel 1984, con Vittorio Foa e Antonio Giolitti, aveva lasciato il PSI per aderire alla Sinistra Indipendente. La formazione storica di Arfé era avvenuta nell’Istituto Italiano di Studi Storici, alla scuola di Benedetto Croce e Federico Chabod. Aveva insegnato nelle Università di Bari, Salerno, Firenze e Napoli. Ha scritto vari libri: sulla storia del Risorgimento, della Resistenza, del Federalismo europeo, della guerra di secessione americana e, soprattutto, del socialismo italiano ed europeo. I suoi testi più noti sono “Storia del socialismo italiano”, “Storia dell’Avanti!”, “I Socialisti del mio secolo”.
Gaetano Arfè, storico di razza, era dotato di grande umanità; aveva un concetto sacro dell’amicizia e dei comportamenti da essa derivanti. Vittorio Foa, era solito raccontare di quando –avendo appreso della morte di Ernesto Rossi, amico e compagno di carcere- si era precipitato a rendere omaggio alla sua salma in ospedale: “Non c’era ancora nessuno; c’era una sola persona ed era Gaetano Arfé. La cosa mi colpì molto e non mi chiesi se era legato da qualche rapporto di parentela o da qualche connotato di carattere culturale. Mi rimase impressa questa comune solidarietà in quella mattina dolorosa per la morte di Ernesto”.
In tutto il suo impegno politico Arfé ha avuto sempre un unico e preciso obiettivo: lavorare per l’unità della sinistra. Lo aveva fatto anche da parlamentare a Strasburgo, tra il 1985 ed il 1986, quando, in collaborazione con Giorgio Napolitano, aveva cercato di creare un centro, promosso da PSI e PCI, “La sinistra per l’Europa”, che fosse pienamente dentro un impegno europeistico. Ed anche allora, molto in anticipo sui tempi, aveva individuato nel terreno dell’europeismo, il percorso possibile di unità tra socialisti e comunisti.
Dal punto di vista di storico, egli era stato molto attento alle vicende del Novecento. Giorgio Spini riconosceva ad Arfé il merito di essere riuscito ad introdurre nella storiografia italiana la “scomoda” rivalutazione del socialismo riformista. Nel secondo dopoguerra, infatti, gli azionisti, da una parte, erano soliti guardare ai socialisti sotto la luce del loro fallimento politico; la storiografia comunista, invece, tendeva a riportare tutto allo schema gramsciano. Gaetano Arfé ha avuto, perciò, il prezioso merito di essere riuscito a riaffermare il valore etico-politico-storico di una grande e vitale esperienza socialista. Senza dimenticare, inoltre, che è stato, soprattutto, un vero cantore della gloriosa epopea della Resistenza.
Una volta, in uno dei tanti incontri con Gaetano, gli chiesi il perché del continuare ad essere socialisti nella nostra società. Rispose: “Perché voglio vedere ripristinati i valori dell’umanesimo cristiano e liberale, confluiti nel mio socialismo; perché voglio che trionfi la solidarietà tra le persone e tra i popoli; perché voglio città non avvelenate dallo smog e non governate dalla legge della “tolleranza zero”; perché voglio che gli immigrati non siano considerati rifiuti da inceneritori; perché voglio che la scienza non sia degradata a merce; perché voglio che risorse immense e tecnologie da fantascienza non siano impiegate per costruire strumenti di distruzione e di stragi; perché voglio che le mie nipotine abbiano l’aria e l’acqua, il pane e il vino”.
A dieci anni dalla sua morte, la risposta di Arfè resta di un’attualità sconvolgente e dimostra, ancora una volta, la lungimiranza di un intellettuale rigoroso ma scomodo, col pensiero volto a costruire una cultura radicata nella Storia. Quella cultura che affina le capacità di capire il presente. E che era l’unica per la quale Gaetano Arfé si è battuto fino all’ultimo suo respiro. (pubblicato su la Repubblica del 13 settembre 2017)