Il calendario segnava la data del 23 gennaio 2008. Era una mattinata insolitamente ventosa per Napoli. Volavano stracci e cartoni, residui della tragica crisi dei rifiuti; il mare era molto increspato e le imposte dei balconi della sede dell’Anci, in via Santa Lucia, sbattevano continuamente. All’interno dell’Anci c’era un bel caldo; in un ufficio molto luminoso ci accolsero dei divani comodi; è lì che ci sedemmo Franco Picardi ed io in attesa di un immancabile caffè e, poi, del momento in cui avremmo potuto scambiare “quattro chiacchiere”. Ero stato io a telefonargli e a chiedergli di fissarmi quell’incontro; stavo raccogliendo appunti sulla storia dell’operato politico di Filippo Caria e, inevitabilmente, avevo necessità di incrociarmi con le testimonianze dell’ex sindaco socialdemocratico di Napoli, di Mario Del Vecchio o di Ferdinando Facchiano, tutti –un tempo- giovani militanti del Partito d’Azione.
Picardi –odontoiatra in pensione-, che dopo qualche mese avrebbe compiuto 80 anni, sembrava quasi che volesse prender tempo, prima di immergersi nell’amichevole conversazione: –tu conosci il segretario dell’Anci?…hai visto la signora Antonietta fa un buon caffè…dunque, ora io ti racconto la mia storia come se la raccontassi a me stesso. Poi, stretto nel suo completo grigio con gilet in lana, si mise più comodo sul divano e si dichiarò pronto a cominciare.
– Come nasce l’esperienza del Partito d’Azione?
– Nasce, innanzitutto, nella mia famiglia, che era antifascista; una famiglia in cui si parlava quotidianamente di democrazia e si ascoltava Radio Londra. A me, poi, piaceva più la politica che la scuola. Ricordo che frequentavo il secondo liceo e non trovavo occasione per correre alla sede dell’Azione, il giornale del partito, dove ero pronto a fare di tutto pur di respirare quell’aria gravida di inchiostro, sigarette e bozze di stampa. Ricordo che il direttore, Guido Dorso –che per la mia struttura fisica mingherlina, mi chiamava affettuosamente “suricillo”-, spesso, mi chiedeva di scrivere un pezzo che puntigliosamente mi dettava ed aggiungeva: “Ora, ti insegno come si scrive un articolo”.
– Ma il contatto vero e proprio col partito, quando avviene?
– Io mi sono trovato a partecipare in questa formazione politica, sin da ragazzino, perché il PdA aveva un fascino particolare, in quanto raccoglieva tantissimi uomini di cultura, di tutte le estrazioni. Napoli, infatti, vantava questo cenacolo, che si era costituito per merito ed intorno a Pasquale Schiano. Egli era un grande organizzatore.
– Dove vi riunivate?
– Nella sede di Piazza Dante, che, poi, diventò la sede del partito socialista. Nei locali di quel nobile palazzo di fronte al Convitto Nazionale ricordo le presenze significative di Carlo Fermariello, Antonio Armino, Francesco De Martino, Pietro Valenza, Filippo Caria.
– Che aria si respirava in città?
– Napoli era una città profondamente monarchica. Ricordo che, all’epoca del referendum istituzionale, l’edicolante che stava sotto casa mia, in Piazza Carità, mi chiese come avrei votato. Quando seppe che votavo per la Repubblica, ci rimase male e mi disse, non senza meraviglia: “Ma come? Nuie simme nate mane ‘o re e voi votate per la Repubblica?”. Insomma, essere repubblicani significava mostrare, innanzitutto, grande coraggio.
– Quando, poi, scomparve il PdA, tu quale decisione prendesti?
– Io facevo parte del nucleo “amici di Pasquale Schiano”. Con la fine del PdA, in molti avemmo difficoltà a guardare verso i socialisti di Nenni, perché aleggiava il fantasma del fusionismo. Per cui la scissione di palazzo Barberini ci offerse un’occasione per aprire un dialogo con il PSLI di Saragat. Inizialmente, Schiano rimase in attesa che maturasse una situazione più chiara, anche se già era orientato verso una sponda socialdemocratica. Poi, nel 1957, quando nacque il PSSIIS (Partito Socialista Sezione Italiana dell’Internazionale Socialista), noi amici di Schiano confluimmo in questo partito socialista, che, a seguito del congresso del 1962, fu poi chiamato PSDI.
– E tu, in seguito, hai sempre militato nel PSDI?
– Sempre. Non ho mai avuto esitazioni, nemmeno quando Schiano, passato con i socialisti, nel 1960, mi invitò ad entrare in quel partito e mi promise un posto nel direttivo.
– Quando, invece, ti sei candidato per la prima volta col PSDI?
– Nel 1964. Fino a quella data avevo contribuito ad alimentare un poco il dibattito culturale all’interno di un partito, che non aveva una grande storia alle spalle. Aveva più una storia di movimenti ed io, giovane medico, insieme a pochi altri miei coetanei andavo in giro a parlare di socialdemocrazia, di marxismo ed altro. Poi, appunto nel 1964, perché avevo due studi odontoiatrici (e un discreto numero di pazienti), uno a Napoli ed uno a Procida, il partito mi chiese di candidarmi sia alla provincia che al comune.
– E come andò?
– Bene; come prima esperienza posso senz’altro dire che andò benissimo. Nel collegio provinciale di Procida riuscii ad avere poco più di mille voti. A Napoli, al comune, risultai tra i primi dei non eletti. Mi ricandidai al comune di Napoli nel 1970 e fui tranquillamente eletto. Nel 1992 il partito mi chiese anche di candidarmi al senato, nel collegio di Nola. Cosa che feci unicamente per disciplina di partito.
– Tu sei stato anche sindaco di Napoli…
– Prima di essere sindaco, sono stato varie volte assessore. Nelle due giunte DC-PSI-PSU-PRI, presiedute da Gerardo De Michele (novembre 1970-luglio 1973 e luglio-ottobre 1973), ho ricoperto la carica di assessore all’igiene, sanità e veterinaria. Nella giunta DC-PSI-PSU-PRI, presieduta da Bruno Milanesi (agosto 1974-settembre 1975), sono stato assessore ai lavori pubblici ed all’edilizia scolastica. Nelle giunte presiedute da Maurizio Valenzi (dicembre 1976-luglio 1983), infine, ho avuto le deleghe ai lavori pubblici, ai servizi tecnologici, ai rapporti con la Regione, all’urbanistica ed al centro storico. Poi, arrivò la candidatura a sindaco…
– Ma come maturò quella candidatura e la successiva elezione?
– Dopo Valenzi, che aveva governato per otto anni senza avere una maggioranza in consiglio, bisognava costruire una nuova alleanza. Allora, si fece il mio nome ed io accettai in via transitoria, in attesa di definire nuovi equilibri. Era, infatti, la mia, un’altra giunta di minoranza. Io accettai per, come dire, spirito di servizio; si era, infatti, all’inizio dell’anno e bisognava approvare il bilancio, pena lo scioglimento del consiglio stesso. Allora feci appello a tutte le forze politiche presenti in consiglio comunale, perché consentissero di superare questo scoglio e di trovare, nel contempo, nuove alleanze, per cui pensavo di varare una giunta di solidarietà istituzionale.
-Invece, cosa successe?
-Mi fu risposto che siccome in primavera ci sarebbero state le elezioni europee non era conveniente fare insoliti schieramenti. Però, devo dire che mentre la DC preannunciò che avrebbe votato il bilancio (anche se non entrava in giunta, ci fu, invece, un’esitazione da parte dei compagni del PCI, che chiedevano di sapere quale era lo schieramento politico dal quale sarebbe nato l’esecutivo. Io non ero in grado di dirlo, se prima non andavo in consiglio comunale e verificavo il voto sul bilancio. Allora varai una giunta PSI-PSDI-PRI-PLI, che restò in sella solo novanta giorni (gennaio-aprile 1984).
-Perché, cosa successe in consiglio comunale?
– In consiglio comunale intervenne l’esponente del MSI e segretario nazionale, Giorgio Almirante, che dichiarò di offrire i voti del proprio partito a favore del bilancio. Per cui, il bilancio fu approvato col voto dei missini ma non con quello dei comunisti.
-E tu cosa facesti?
-Mi dimisi subito. Sarebbe stato assurdo e disdicevole che, io, storicamente socialista, avessi potuto accettare il voto dei missini. Ci furono, pertanto, trattative immediate; fui più volte invitato a ritirare le dimissioni, ma fui intransigente. E ci fu, quindi, il ritorno della DC alla guida del comune di Napoli, prima con Vincenzo Scotti (aprile-agosto 1984) a capo di una giunta DC-PSI-PSDI-PRI-PLI e, poi, con Mario Forte (agosto-dicembre 1984), capo di un esecutivo DC-PSDI-PRI-PLI.
-Ma tu, poi, sei rimasto ancora nei banchi di Palazzo San Giacomo?
-Sì, sono rimasto consigliere comunale sino al 1993 ed oltre ai due sindaci democristiani, di cui già ho fatto cenno, sono stato consigliere nel periodo in cui ad amministrare la città di Napoli ci furono i sindaci del PSI Carlo D’Amato, Pietro Lezzi e Nello Polese.