Gli inizi degli anni ’50 videro nascere e consolidarsi, a Napoli, il “Gruppo Gramsci”. Gaetano Arfé fu uno dei testimoni e dei protagonisti di quell’esperienza culturale e politica.
Il Gruppo Gramsci era stato fondato da un manipolo di giovani comunisti, tra cui la testa pensante era Guido Piegari ed il braccio secolare, consigliere e organizzatore dei socialisti era Gerardo Marotta. Col “Gramsci” ebbe rapporti di amicizia anche l’eccelso matematico e cultore finissimo di musica Renato Caccioppoli (nipote dell’anarchico russo Michele Bakunin), “che aveva molte riserve nei confronti del comunismo staliniano,che si esprimeva in battute brillanti e caustiche, ma non in giudizi politici o in posizioni eretiche”. Gli intendimenti che animavano il gruppo di giovani intellettuali erano quelli di approfondire e attualizzare la teoria e la metodologia del marxismo, applicandola all’esame della storia e della politica.
Dei tempi del “Gruppo Gramsci” ebbi modo di parlarne con due testimoni ed animatori dell’epoca: Ermanno Rea e Gerardo Marotta.
Rea riuscii a sentirlo telefonicamente, da Roma, dopo un paio di tentativi andati a vuoto e dopo che avevo bucato l’occasione della presentazione napoletana di un suo libro, “La dismissione”. Si presentò con una voce calda e con una squisita cortesia, oltre che col vezzo di possedere –egli sosteneva– labili ricordi. “Provo a rafforzare la memoria. Il mio ricordo di Arfé è tutto all’interno del “Gruppo Gramsci”. Mi ricordo, soprattutto, quel suo sguardo mite e comprensivo, il suo sorriso; nonché la sua intelligenza, una intelligenza calma. Sottolineo questi elementi, perché quello era un momento di grande agitazione. Noi eravamo iscritti al PCI, lui, invece, era un socialista. All’interno del gruppo, Arfé non occupava un ruolo di primo piano, semplicemente, beninteso, perché egli era un po’ distaccato dalle battaglie che furono sostenute allora. Ed era, comunque, uno dei personaggi di maggiore spicco in un gruppo la cui importanza, al di là delle posizioni assunte dai singoli, va valutata positivamente, perché, nella prima metà degli anni ‘50 riuscì a rivisitare la cultura di sinistra, in un momento di piatto conformismo, introducendo elementi di forte dialettica. Il “Gruppo Gramsci” non era un gruppo omogeneo; c’erano ribelli, si agitavano molte anime con diversità di posizioni. E queste anime erano smaniose di misurarsi in campo aperto, soprattutto nella lettura della storia d’Italia, il cui punto di partenza era il Risorgimento”.
– Ed Arfé cosa rappresentava?
– Gaetano rappresentava, almeno per quello che ricordo io, il polo più liberale ed anche più cauto di quel gruppo, alieno dai massimalismi ideologici.
– Una posizione di equilibrio, dunque?
– Una posizione più equilibrata, certo. Arfé, infatti, era un giovane storico di formazione crociana, che viveva la sua materia di studio con rigore. Il suo era un matrimonio con la storia, che gli imponeva obblighi di serietà, di circospezione. Mentre per molti altri la storia era un terreno di scorribande extraterritoriali, nel senso che, spesso, le ragioni della storia erano forzate, perché diventassero strumento da indirizzare a propri precisi obiettivi. Gaetano, invece, aveva già questo profilo professionale ben delineato, accompagnato da una saggezza e da una precisione, sottolineate anche dai caratteri vivi del suo sguardo. Egli era, lo dico in senso buono, un vero professore. Incarnava, infatti, l’immagine del professore comprensivo, attento, che ascoltava gli altri, con il suo sguardo scrutatore e benevolo.
– Poi vi siete persi di vista?
– Sì abbiamo avuto esperienze diverse. Io sono uscito dal PCI, ma senza rancori, anzi. Ho conservato un bel ricordo della mia militanza. Arfé, invece, ha militato a lungo nel PSI, mantenendo sempre una forte coerenza con il proprio carattere e con le proprie scelte.
Gerardo Marotta lo incontrai, invece, nel suo studio di via Calascione, a Napoli, in una stanza aperta sul mare, tra cataste di libri. Il presidente dell’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, intabarrato nella sua scura palandrana e con la chioma bianchissima, appena coperta dall’inseparabile Borsalino, fu, come sempre, affabile e seducente.
– Con Gaetano Arfé ci siamo conosciuti proprio negli anni del “Gruppo Gramsci”. All’epoca, ogni settimana, si tenevano seminari all’Università di Napoli ed Arfé era tra i relatori più prestigiosi, più vivaci, più intelligenti, più strettamente legato a Guido Piegari. Quando, poi, per le note vicende, cessarono le sessioni del “Gruppo Gramsci”, Gaetano fece la sua strada con i socialisti, riuscendo a produrre cose ammirevoli nel campo della politica e della storiografia.
– Avvocato, c’è un ricordo, che più degli altri, crea un particolare legame con Arfé?
– Una cosa posso ricordare con grande piacere e commozione. Mentre tutti noi eravamo impegnati a studiare, per la preparazione di un seminario, i libri di Salvatorelli su pensiero ed azione del Risorgimento, insieme ad altri articoli e pubblicazioni dello stesso storico -che erano orientati nel senso della scuola democratica, cioè Mazzini e democratici nel Risorgimento italiano, e tutti noi eravamo infervorati per la scuola democratica-, Gaetano mi mise tra le mani “I principi di etica” di Bertrando Spaventa. Fu allora che io, innamorato della filosofia del diritto, approfondendo lo studio di Spaventa, compresi tutta l’importanza del concetto di Stato. E fu anche allora che mi resi conto come un grave problema, per i partiti della sinistra, fosse quello della estinzione dello Stato, contemplato nella dottrina marxista e leninista. Da qui partì, per noi giovani, il confronto con le teorie di Spaventa e di Hegel e in questo ci fu una grande influenza di Gaetano, che ci dette la possibilità di confrontarne le linee”.
– Quando Arfé si trasferisce a Firenze, continuate a frequentarvi?
– Siamo rimasti amici; ci vedevamo qualche volta che io passavo per Firenze o che Gaetano tornava a Napoli. La verità è che con la scomparsa del “Gruppo Gramsci”, molti di noi misero fine all’esperienza politica e si dettero solo all’impegno professionale. Di recente, insieme, abbiamo organizzato una manifestazione in ricordo di Adolfo Omodeo. Oggi i nostri legami vanno riprendendosi sempre più intensamente e spero di poter collaborare ancora con lui. Sono, questo ci tengo proprio a dirlo, felice di poter testimoniare quanta influenza Gaetano abbia avuto non solo sulla mia persona, ma su centinaia di giovani, che , a Napoli, seguivano le sue lezioni, al “Gruppo Gramsci”, nell’aula dell’Università concessa da Nino Cortese.
– Mi ha raccontato Arfé che in quell’aula universitaria sede degli incontri passarono Concetto Marchesi, Natalino Sapegno, Renato Guttuso. Arrivò, da Milano, anche Antonio Banfi, il più grande filosofo dell’epoca dopo Croce. E fu dato grande spazio a giovani letterati come Vasco Pratolini, Luigi Incoronato, Domenico Rea e Luigi Compagnone…
– Il gruppo riunito intorno al “Gramsci”, insieme a quello associato a “Cultura Nuova”, fu formatore di nuove generazioni. Creò grande entusiasmo nei giovani, fu punto di riferimento per la ricostruzione culturale e civile di Napoli e del Mezzogiorno. Famosi furono anche i comizi sotto il palazzo della Prefettura a favore del consolidamento della pace tra i popoli.
– Ci furono, però, tra tante encomiabili iniziative, anche alcuni episodi di basso spessore culturale.
– Come quando invitammo il giurista Vezio Crisafulli a parlare sulla Costituzione Italiana. La Facoltà di giurisprudenza, con la motivazione che il relatore era uomo di sinistra, fece chiudere i cancelli e ci negò l’accesso all’aula. Era il segnale del tetro grigiore raggiunto dall’Università, dopo la morte di Omodeo… Però noi non ci perdemmo d’animo e allestimmo la sala della conferenza negli scantinati del palazzo federiciano.