Pronubo del nostro primo incontro, una trentina di anni fa, fu un amico comune (scomparso nel 2001), il preside Nino Pino. E, da allora, non ho mai smesso di frequentare Gilberto Antonio Marselli, un elegante signore tanto più uguale a un vecchio lord inglese che non a un pensionato statale italiano. Ha una chioma nitida su una ritta statura, fuma la pipa, è sempre puntualissimo. Ha superato gli ottant’anni, ben portati; ha chiuso la carriera universitaria come professore ordinario di sociologia presso la facoltà di Economia e Commercio di Napoli.
Gilberto Antonio Marselli -figlio di Bettino, ufficiale di artiglieria, combattente nella Grande Guerra- è nato a Caserta, nel 1928, ma la sua famiglia –nonno e bisnonno militari- è originaria di Cassino. Dopo una parentesi napoletana durata fino al 1938, Gilberto, obbligato a seguire il padre militare, si spostò a Bologna. Nella città felsinea, nel 1943, il giovane liceale, mentre pedalava verso le colline emiliane, dove erano in attesa di informazioni gli antifascisti (tra cui il padre, frequentatore del gruppo “Giustizia e Libertà”), fu arrestato dalle Brigate Nere e condotto in carcere, dove fu compagno di cella di Massimo Cordero di Montezemolo (il padre di Luca). Dopo due mesi di reclusione, Gilberto fu, con altri suoi coetanei, condannato a morte e avviato ai Prati di Caprara, fuori Porta san Felice, davanti al plotone di esecuzione. Nel mentre, però, stava per compiersi drammaticamente la sua sorte – quando per una decina di prigionieri era già stata eseguita la condanna- fu graziato, insieme ad altri compagni di sventura, per intercessione dell’arcivescovo della città, cardinale Giovanni Battista Nasalli Rocca.
Dopo il 25 aprile 1945, la famiglia Marselli tornò a Napoli e andò ad abitare a Portici, a Villa Buono. Papà Bettino avrebbe desiderato che il figlio si iscrivesse alla facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Napoli, ma Gilberto preferì la facoltà di Agraria, proprio nel centro di Portici. Fu studente diligente; mise insieme subito un buon numero d’esami, ma a quello di entomologia, dopo una iniziale soddisfacente disquisizione, cadde sulla mancata individuazione del sesso di una blatta domestica, un volgarissimo scarafaggio che era stato sottoposto alla sua analisi. Un segno del destino, perché, quella inattesa bocciatura lo convinse a cambiar tesi e determinò l’incontro con un professore dall’indubbio fascino -non solo sotto il profilo culturale e scientifico ma anche sotto quello amichevole e politico- che era solito dormire, talvolta, in istituto e che rispondeva al nome di Manlio Rossi Doria[1].
- Perché ha scelto la tesi con me?
- Perché sono reduce da una bocciatura in entomologia; sono caduto sul sesso della blatta domestica ed ho pensato di abbandonare il campo di ricerca delle materie scientifiche.
- Di dove è originario, lei?
- Di Cassino.
- Ci vediamo dopo l’estate. Penso per lei a una tesi sperimentale, a una indagine sulle campagne, alla valutazione dei danni che ha fatto la guerra nel territorio di Cassino e alle possibili soluzioni per la ricostruzione.
Prima che Marselli conseguisse la laurea in agraria, ebbe richiesta dal professor Rossi Doria perché prestasse la sua collaborazione alla Riforma agraria in Calabria. Condizione iniziale e necessaria fu che il giovane studente universitario si calasse nelle vicende legate ai fatti di Melissa[2], quelli segnati dalla morte di alcuni contadini, caduti nel tentativo di strappare la terra ai latifondisti. Dalla frequentazione con i lavoratori della terra nacque la sua vocazione all’impegno politico, supportato, in verità, anche da un incontro che gli avrebbe segnato la vita. A Portici, infatti, era arrivato anche Rocco Scotellaro[3], il giovanissimo sindaco socialista di Tricarico, uomo di grande sensibilità. In quegli anni Manlio Rossi Doria stava elaborando il Piano di Sviluppo della Basilicata, promosso dalla SVIMEZ (Associazione Sviluppo Industriale del Mezzogiorno), in cui Scotellaro era stato incaricato di curare l’indagine sulla scuola[4] mentre Rocco Mazzarone[5] quella sulla sanità[6]. Anche Marselli – ormai a tempo pieno nel cosiddetto gruppo di Portici – fu un prezioso collaboratore di quel piano e fu, perciò, in contatto con moltissimi socialisti lucani.
- Ti sei mosso, quindi, sempre nell’area politica socialista?
- Non solo. C’erano, in quei tempi, una interlocuzione ed un confronto continui, a Napoli, con Gerardo Chiaromonte e Giorgio Napolitano; in Basilicata, con Tommaso Bianco. E, poi, c’era Carlo Levi, che, col suo “Cristo si è fermato a Eboli”, attirava nel Mezzogiorno innumerevoli studiosi americani. Forse, è più corretto dire che, senza avere una netta e precisa collocazione politica, ero orientato a sinistra. Nonostante i sentimenti deteriori di cui Rossi Doria ed i suoi collaboratori erano bersaglio. I democristiani, infatti, diffidavano di Doria per il suo passato da comunista; il PCI altrettanto era diffidente perché Doria lavorava alla Riforma Agraria, voluta dal Parlamento ma, in sostanza, gestita dalla DC; ed i socialisti, che, come al solito, avevano una posizione ambigua, si orientavano nel giudizio a secondo del momento e del leader di turno.
Fu necessario arrivare alla fine degli anni sessanta del secolo scorso, perché l’ equivoco comportamento delle formazioni partitiche nei confronti di Rossi Doria subisse una positiva sterzata e, per dirla con la vulgata corrente, perché il professore fosse sdoganato da (pre)giudizi mendaci. Tutto avvenne quando Francesco De Martino gli offrì la candidatura al senato, in un collegio dell’alta Irpinia. Inizialmente, Rossi Doria fu riluttante, perché non voleva intralciare il passo a nessun candidato locale; poi, finì con l’accettare e chiese a Marselli di organizzargli la campagna elettorale. Per due mesi, maestro ed allievo, girarono tutta l’Irpinia; in due mesi elaborarono un Piano di Sviluppo per l’Irpinia.
- Ricordo che la mattina andavamo in giro a studiare il territorio, di notte scrivevamo le riflessioni su quello che avevamo visto e di pomeriggio facevamo comizi, per spiegare le possibili soluzioni agli elettori.
- Quale fu l’esito elettorale?
- Rossi Doria fu eletto con l’aiuto anche di voti comunisti e democristiani.
- Puoi essere più chiaro?
- Sì. Avendo saputo che il candidato comunista non piaceva molto agli elettori d’area, andai a chiedere a Bassolino (che ora, forse, lo ammetterà a denti stretti), allora segretario della federazione di Avellino, di dirottare dei voti su Rossi Doria. Stessa cosa feci con il democristiano Fiorentino Sullo, che aveva attriti con Ciriaco De Mita. Non ho scrupoli a raccontare che prendemmo voti da DC e PCI. Poi, il senatore Rossi Doria, una volta eletto, fu chiamato a presiedere la Commissione Agricoltura mentre io ebbi la responsabilità di rappresentarlo sul territorio e mantenere contatti con il suo collegio elettorale.
- Quindi, in definitiva, la tua è una storia politica socialista.
- Attraverso Manlio Rossi Doria sono entrato nel PSI, dove fummo rispettati ma tenuti a distanza, col sospetto di essere intellettuali non adusi a certi sotterfugi politici.
- Quali sotterfugi, per esempio?
- Dopo essere stato eletto al senato, il professor Rossi Doria fece un giro di ringraziamento per il collegio. Tutti cominciavano a chiedere piaceri personali e lui si arrabbiò dicendo che era il senatore di tutti e non dei singoli, aggiungendo, poi, di essere disponibile ad aiutare tutti nella misura in cui tutti si fossero uniti ed insieme avessero concorso a risolvere il problema. A me, poi, che, come ti ho detto, mantenevo contatti col collegio, fu proibito di occuparmi di casi individuali; fui invitato fermamente ad interessarmi solo di casi di gruppo.
Dopo l’esperienza politica in Irpinia, Gilberto Antonio Marselli continuò la sua esperienza politica, profondendo un intenso impegno culturale nell’Istituto di Studi “Carlo Pisacane, Centro di Ricerche e di Documentazione di Napoli”[7], dove fu portato, per la prima volta, dai socialisti Gustavo Minervini e Franco Capotorti. Il “Pisacane” più che un circolo era un istituto di ricerca, presieduto inizialmente da Mario Benvenuto, professore di filosofia, che intratteneva i soci e i frequentatori sugli argomenti più vari e più strani. Ma la cosa più attraente del “Pisacane” era che giovani e meno giovani si trovassero sullo stesso piano di parità, senza differenza di generazioni; c’erano persone di svariati interessi: architetti, economisti, giuristi, uomini di scuola, che si scambiavano idee ed elaboravano progetti in grande autonomia.
– In quel circolo si parlava di rivisitare il socialismo, di come far diventare moderna un’idea del 1892 ed inserirla nella cultura napoletana. Ricordo la presenza di Lorenzo Pagliuca e dei suoi colleghi architetti, estensori dei P.R.G. nei comuni della provincia a guida socialista. Ricordo il contributo di Giovanni Acocella, di Giulio Buonpane. Ricordo l’epoca dei colonnelli greci conniventi con la polizia italiana, quando dal “Pisacane” fu offerta ospitalità ad un comitato di studenti universitari di origine greca. Fu allora che si organizzò una manifestazione col figlio di Papandreu, di ritorno dagli USA. Franco Capotorti si prestò a fare da interprete; dall’Università di Portici mi accompagnarono Claudio Napoleoni e Giorgio La Malfa…
– Altri campi di studio?
– Quelli perseguiti dall’architetto Giulio Buonpane e dalla professoressa Stefania Romano, che sperimentarono un modo di utilizzare, in chiave moderna, gli scavi di Pompei ed Ercolano. Anzi, uno dei fascicoli di “Campania Documenti”[8] fu dedicato proprio a questo studio, con una relazione tecnica di Pagliuca. Poi, col contributo di Pietro Lezzi, ci fu una forte spinta alla nascita dell’Ente Ville Vesuviane. Ma il momento più esaltante fu quello dei decreti delegati: fummo noi del “Pisacane” a preparare la distrettualizzazione scolastica della città di Napoli.
– Politicamente come si collocava il “Pisacane”?
– Eravamo quasi tutti di estrazione socialista ma non per questo non eravamo critici nei riguardi del Psi. L’allora segretario della federazione napoletana, Umberto Palmieri, ci guardava col fumo negli occhi. Eravamo aperti ad ogni confronto. Ai nostri incontri non mancavano mai democristiani e comunisti.
- Chi vi finanziava?
- In sostanza ci finanziava Francesco De Martino, che ci aveva inserito nell’elenco delle associazioni, che usufruivano dei soldi delle Lotterie Italia. E questo era motivo di sorpresa da parte di altri circoli di corrente, perché noi, pur essendo demartiniani, non facemmo mai i demartiniani.
- Eravate in odore di eresia?
- Sì, credo che gli stessi demartiniani ortodossi ci considerassero eretici.
- Eri, sì, un eretico ma con la tessera del PSI.
- Sì. Pensa che, per quelle strane alchimie del PSI napoletano (ed anche nazionale), io che abitavo a Posillipo fui pregato di non iscrivermi alla sezione di Chiaia-Mergellina ma a quella del Vomero, dov’era segretario Nino Pino, vera roccaforte demartiniana. Bisognava, rafforzando la sezione Vomero, bloccare l’antagonista Antonio Caldoro e le altre correnti socialiste.
Altri tempi, altri uomini. Una volta Rocco Scotellaro, discutendo con Rossi Doria, e cercando di rifarsi all’esperienza che quest’ultimo aveva vissuto con Carlo Levi nel PdA, propose la nascita di un partito contadino, come stava accadendo nei paesi dell’est europeo, dove i partiti contadini erano i veri partiti socialisti. “Rossi Doria si arrabbiò” racconta oggi Marselli- “e disse che non c’era bisogna di fare un nuovo partito nel Mezzogiorno, che l’esperienza del PdA era irripetibile, che non se la sentiva di stare di nuovo, ufficialmente, in un partito”. Nelle parole di Marselli risaltano, ancora una volta, solo le idee degli uomini impegnati nella riscossa del Mezzogiorno: “Noi vivevamo un’esperienza unica; non eravamo schierati con nessun partito; eravamo sicuri di essere solo in una collocazione politica, meridionalistica e di sinistra”. Con la passione e la speranza, che il poeta Scotellaro aveva consacrato alla civiltà contadina, non più museo della memoria, ma realtà politica in continuo movimento: “Spuntano ai pali ancora/ le teste dei briganti…/ Ma nei sentieri non si torna indietro./ Altre ali fuggiranno/ dalle paglie della cova/ perché lungo il perire dei tempi/ l’alba è nuova, è nuova”[9].
[1] Manlio Rossi Doria (Roma, 1905-1988) economista, politico e accademico. Iscritto al Pci, fu arrestato, nel 1930, e condannato a 15 anni di carcere. In seguito a due amnistie, fu scarcerato, nel 1935, e sottoposto a vigilanza speciale. Nel 1940, con l’entrata in guerra dell’Italia, fu inviato al confino in Basilicata, benché non risultasse più militante del Pci, partito dal quale aveva preso le distanze e, perciò, espulso nel 1939. Successivamente, nel 1943, Rossi Doria fu eletto nel comitato esecutivo del PdA. Nel 1962, poi, si iscrisse al Psi, partito per il quale, nel 1969 e nel 1972 (lasciò, nel 1975, per ragioni di salute), fu eletto senatore nel Collegio dell’Irpinia. L’impegno politico di Rossi Doria camminò di pari passi con quello accademico e scientifico. Nel 1944, infatti, fu incaricato per l’insegnamento di Economia e politica agraria alla facoltà di agraria di Portici. Nel 1959, poi, fondò il Centro di Specializzazione e ricerche Economico-agrarie per il Mezzogiorno. Fu anche fondatore e primo presidente, nel 1980, del “Centro Studi G. Dorso” di Avellino.
[2] Il 29 ottobre 1949, Melissa, un paesino in provincia di Crotone, fu a centro di un tragico fatto di sangue. I contadini del luogo, con alla testa il disoccupato Francesco Nigro, occuparono le terre incolte in contrada Fragalà. I proprietari del fondo fecero ricorso alla polizia, che non esitò a sparare sugli occupanti. Si contarono 15 contadini feriti, mentre rimasero uccisi con lo stesso Nigro, anche i braccianti Giovanni Zito e Angelina Mauro.
[3] Rocco Scotellaro (Tricarico 1923- Portici 1953), poeta e intellettuale meridionalista, fu (1946) il primo sindaco di Tricarico repubblicana eletto nelle liste del Psi. Accusato di concussione, truffa e associazione a delinquere dai suoi avversari politici (1950), passò 45 giorni in carcere prima di essere assolto con formula piena per non aver commesso il fatto. Turbato dalle false accuse e dalla mancata elezione al consiglio provinciale di Matera, si allontanò dalla politica attiva e si dedicò con più vigore agli studi e alla letteratura. Sempre nel 1950 Scotellaro ebbe l’incarico, da Manlio Rossi Doria, di collaborare all’inchiesta sulle condizioni di vita dei contadini del sud. Gran parte degli scritti letterari e poetici di Rocco Scotellaro furono pubblicati e postumi e gli valsero molti premi, tra cui, nel 1954, il Premio Viareggio.
[4] Rocco Scotellaro, Scuole in Basilicata, in Nord e Sud, A. I, n. 1 e A. II, n. 2, 1955.
[5] Rocco Mazzarone (Tricarico, 1912-2005), medico e studioso dei problemi del Mezzogiorno. Tra le sue tante attività (professione, insegnamento, ricerca, pubblicazioni), si segnalò per l’impegno profuso nello studio della malaria e della tubercolosi in Basilicata tra gli anni 1930/50. Successivamente estese gli studi su queste due malattie endemiche anche in Somalia e in Belucistan. Mazzarone è stato il riferimento per tutti gli studi condotti in Basilicata dopo la II guerra mondiale.
[6] Rocco Mazzarone, Notizie sulle condizioni sanitarie della Basilicata, in Nord e Sud, A. III, n. 22, 1956.
[7] L’Istituto “Carlo Pisacane” nacque alla fine del 1963, fu così chiamato, perché “[…] era il segnale chiaro di un progetto politico-culturale ambizioso, al limite dell’azzardo, che conteneva in sé un’antinomia: la necessità dello studio e della ricerca rigorosa (con i conseguenti esiti documentali) e il confronto permanente tutto teso all’autogoverno delle comunità di base e al controllo delle rappresentanze che gestiscono il potere”, in Antonino Pino, Il movimento del ’68 a Napoli, in Nord e Sud, nuova serie, A. XLV, giugno-luglio 1998, Esi, Napoli.
[8] Rivista bimestrale dell’Istituto “Carlo Pisacane”, nata nel 1973 ed in vita sino al 1978: “è una pubblicazione di critica documentaria, che esce bimestralmente a cura dell’Istituto di Studi “Carlo Pisacane” di Napoli. Essa si propone di trattare –per documenti- fatti politici e amministrativi nei loro esiti effettuali, nei loro riflessi culturali, nei loro ulteriori sviluppi politici”, in seconda di copertina “Campania Documenti”.
[9] Rocco Scotellaro, Sempre nuova l’alba, in È fatto giorno, Mondadori, Milano, 1954.