Nei lontani anni ’90 del secolo scorso, quando la città di Somma Vesuviana visse un felice periodo di risveglio culturale e partecipativo, non era difficile incontrarvi -nelle innumerevoli manifestazioni cittadine o nella tranquillità di S. Maria a Castello- l’avvocato Gerardo Marotta. Già nel 1992, grazie proprio a Marotta- e per l’intelligente interessamento di Elisabetta Pace Papaccio (direttrice del I Circolo Didattico)- era stato dato alle stampe il Catalogo del Patrimonio della “Biblioteca dell’Unione Magistrale” di Somma Vesuviana a settant’anni dall’istituzione (1921-1992). Poi, anche sulla spinta amichevole di Silvana Aprile e Pasquale Secondulfo, il Presidente dell’Istituto Italiano di Studi Filosofici aveva individuato nella cittadina vesuviana una delle sedi delle tante scuole estive sparse in Italia. Fu così che ebbe battesimo la scuola “Jacopo Sannazzaro” della quale chi scrive fu nominato direttore scientifico. Nei mesi di giugno dal 1994 al 1997 divennero, così, destinatari di borse di studio molti giovani del luogo, che furono formati –da Guido D’Agostino, Romeo De Maio, Stefano Zen, Arturo Martorelli- su temi riguardanti la Storia del Mezzogiorno, Democrazia e questione femminile, Rinascimento e origini del mondo moderno, Letteratura e Cinema in Italia dal muto agli anni sessanta.
In quel decennio di fine secolo Gerardo Marotta dimostrò di essere proprio molto innamorato di Somma Vesuviana. Spesso, infatti, si ritirava per alcuni giorni nella quiete di un rifugio, nei pressi del santuario di S. Maria a Castello, a leggere le pagine dei suoi filosofi, a intessere rapporti epistolari, ad immaginare nuovi percorsi di conoscenza da far fruire alle masse. Ho chiarissimo il ricordo di una passeggiata in cui l’accompagnai –facendogli da cicerone- per le stradine del Casamale. Era una domenica pomeriggio, era giugno inoltrato e faceva un gran caldo. Fuori all’Associazione Battenti di Maria Santissima dell’Arco alcuni uomini giocavano a carte e bestemmiavano (anche la Madonna). Gerardo Marotta si staccò dal mio braccio e si avviò, deciso, verso quei tavoli da gioco; poi, senza preamboli, cominciò a intrattenere quei giocatori domenicali (che erano tutti lavoratori della terra e manovali) sugli eventi della rivoluzione napoletana del 1799. Ancora oggi sembra di vedere la sua mimica teatrale e sentire la sua voce inconfondibile mentre animava i fantasmi di Eleonora Pimentel Fonseca, Luigia Sanfelice, Fabrizio Ruffo, Ferdinando IV di Borbone o Gennaro Serra di Cassano.
Nel 1994, l’amministrazione di Somma Vesuviana (sindaco Alfonso Auriemma) deliberò per Gerardo Marotta la cittadinanza onoraria. L’atto simbolico di assegnazione dell’onorificenza avvenne nella chiesa di Santa Maria del Pozzo; l’Avvocato – che nell’occasione rivolse al folto pubblico presente il ringraziamento attraverso la lectio magistralis Gli appelli per la filosofia e la ricerca umanistica– era accompagnato da Biagio De Giovanni (La funzione della filosofia nella crisi europea) e da Romeo De Maio (Michelangelo e l’etica della libertà). Era il sabato 4 giugno. Tra gli ospiti c’era anche Aldo Vella, sindaco di San Giorgio a Cremano, che fu costretto a lasciare la cerimonia dalla sopraggiunta notizia della morte di Massimo Troisi.
I miei rapporti con l’Avvocato Gerardo Marotta sono stati affettuosi e duraturi nel tempo. Più volte ho raccolto le sue preziose testimonianze (anche in video) sul secondo dopoguerra napoletano, sul Gruppo Gramsci, su Gaetano Arfé. Una volta, ricordo, mi ricevette anche nello studio di via Calascione, a Napoli, in una stanza aperta sul mare, tra cataste di libri. Il presidente dell’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, era intabarrato nella sua scura palandrana e con la chioma bianchissima, appena coperta dall’inseparabile Borsalino, fu, come sempre, affabile e seducente.
“Con Gaetano Arfé ci siamo conosciuti proprio negli anni del “Gruppo Gramsci”. All’epoca, ogni settimana, si tenevano seminari all’Università di Napoli ed Arfé era tra i relatori più prestigiosi, più vivaci, più intelligenti, più strettamente legato a Guido Piegari. Quando, poi, per le note vicende, cessarono le sessioni del “Gruppo Gramsci”, Gaetano fece la sua strada con i socialisti, riuscendo a produrre cose ammirevoli nel campo della politica e della storiografia”.
Avvocato, c’è un ricordo, che la tiene particolarmente legato ad Arfé?
“Una cosa posso ricordare con grande piacere e commozione. Mentre tutti noi eravamo impegnati a studiare, per la preparazione di un seminario, i libri di Salvatorelli su pensiero ed azione del Risorgimento, insieme ad altri articoli e pubblicazioni dello stesso Salvatorelli, che erano orientati nel senso della scuola democratica, cioè Mazzini e democratici nel Risorgimento italiano, e tutti noi eravamo infervorati per la scuola democratica, Gaetano mi mise tra le mani “I principi di etica” di Bertrando Spaventa. Fu allora che io, innamorato della filosofia del diritto, approfondendo lo studio di Spaventa, compresi tutta l’importanza del concetto di Stato. E fu anche allora che mi resi conto come un grave problema, per i partiti della sinistra, fosse quello della estinzione dello Stato, contemplato nella dottrina marxista e leninista. Da qui partì, per noi giovani, il confronto con le teorie di Spaventa e di Hegel e in questo ci fu una grande influenza di Gaetano, che ci dette la possibilità di confrontarne le linee”.
Quando Arfé si trasferisce a Firenze, continuaste a frequentarvi?
“Siamo rimasti amici; ci vedevamo qualche volta che io passavo per Firenze o che Gaetano tornava a Napoli. La verità è che con la scomparsa del “Gruppo Gramsci”, molti di noi misero fine all’esperienza politica e si dettero solo all’impegno professionale”.
Una volta mi ha raccontato anche di comizi, per favorire il consolidamento della pace tra i popoli, tenuti addirittura negli scantinati dell’Università.
Sì, fu quando invitammo il giurista Vezio Crisafulli a parlare sul tema della Costituzione italiana. La facoltà di giurisprudenza, con la motivazione che il relatore era uomo di sinistra, aveva fatto chiudere i cancelli e ci aveva negato l’accesso all’aula. Fu quello il segnale del tetro grigiore raggiunto dall’università, dopo la morte di Omodeo. Ma noi non ci perdemmo d’animo e allestimmo la sala della conferenza negli scantinati del palazzo federiciano.
L’ultima volta che ho incontrato Marotta è stata il 20 agosto scorso. Come ogni anno, nonostante (e si vedeva) le sue condizioni di salute non fossero delle migliori, non aveva voluto mancare alla commemorazione dei martiri del 1799 nella chiesa napoletana del Carmine. Era arrivato al braccio del figlio e dell’Assessore alla Cultura Nino Daniele. Al termine della celebrazione ricordo che tutti si precipitarono a salutarlo; quindi, al braccio di Nino e mio, uscì dalla chiesa e tutti e tre ci fermammo ad aspettare un taxi, che portasse l’Avvocato a casa. Al saluto, con un filo di voce mi sussurrò: “è molto importante ciò che fai; continua sempre a tenere viva tra i giovani la memoria dei martiri del 1799”.
Buon viaggio, Avvocato Marotta, e grazie. Col più profondo del cuore da parte di quel professore socialista di Somma Vesuviana, come dicevi tu (e a me piaceva tanto), a cui non mancavi mai di mandare i saluti e trasmettere –in ogni occasione- una nuova dose di passione civile.