Ora Giuseppina D’Amato dorme il sonno dei giusti. Ha raccontato centinaia di volte la storia che, suo malgrado, l’aveva resa testimone di un evento tragico. Anche in tarda età, con gli occhi appannati dalle lacrime e da affetti incancellabili, ha parlato ai ragazzi della scuola media “S. Giovanni Bosco-Summa Villa” di Somma Vesuviana dell’infamia della guerra, del dolore di una perdita, dell’acre odore del sangue; quell’odore particolare che ti resta nelle narici e nel cuore, quello che ti senti addosso -per sempre- di giorno e di notte, quello che ti restituisce immagini che mai sbiadiscono ed anzi si moltiplicano come in un infinito gioco di specchi.
Giuseppina D’Amato aveva una grande forza d’animo. Ed aveva anche una grande sensibilità, che diventava enorme quando apriva lo scrigno dei ricordi. Allora la sua voce arrochita dall’emozione non sempre seguiva le traiettorie dei suoi sensi, che, invece, correvano all’indietro nel tempo, ripercorrevano luoghi, ritrovavano fantasmi e ne sentivano gli odori.
Giuseppina D’Amato era la figlia di Gennaro e di Luisa Granato. Il 1° ottobre di settantasei anni fa –nel 1943- Giuseppina era una bambina di una decina d’anni. Il suo papà era in guerra, la sua mamma la difendeva –insieme alla sorella più piccola, Teresa- da un’altra guerra: quella che si combatteva senza le armi in un paese segnato da lutti, violenze, istinti belluini.
Quel 1° ottobre 1943 si compì il destino di Luisa. Lei, infatti, testarda ed amorevole decise quel giorno di allontanarsi da un ricovero più sicuro e rientrare nella propria casa, per recuperare un pezzo di pane per la figlia più piccola. Portò con sé, tenendola per mano, Giuseppina. Ma le strade del paese erano battute dai tedeschi in fuga. Quelle squadracce dispotiche e vendicative incendiavano case, razziavano viveri, sventagliavano colpi di mitra su ogni ombra. Una raffica di colpi sfiorò la testa della bambina; un proiettile colpì al fianco Luisa Granato, che morì, dopo poche ore, dissanguata.
Giuseppina D’Amato ricordava sempre con grande emozione gli ultimi minuti di vita di sua madre: “mi diede dei soldi e mi raccomandò di non far mettere il vestito nero a Teresa. Mi chiese, inoltre, di salutare mio padre, perché non l’avrebbe più visto”. Fu sfortunata Luisa Granato! La notte in cui morì arrivarono anche a Somma gli Americani, che -ricordava ancora Giuseppina – “vegliarono il corpo di mia madre”.
Quel tragico giorno di ottobre del 1943, a Somma Vesuviana, ci furono altre due vittime civili: Domenico Muoio e Ciro Giannoli.
Il 15 giugno del 1945, a guerra finita, i carabinieri di Somma, sotto la guida del maresciallo Ernesto Matarazzo, per tutti i tre delitti, così verbalizzarono: “Il 1° ottobre 1943 all’avvicinarsi degli eserciti Liberatori –AngloAmericani- la soldataglia tedesca si abbandonò in questo Comune ad atti di inaudito terrorismo distruggendo con la dinamite e con l’incendio dei beni patrimoniali di non pochi cittadini che rimasero senza tetto e nella desolazione”. Per Luisa Granato, inoltre, verbalizzarono: “Come se non bastasse, mentre la nominata si riparava nella propria casa gli vennero esplosi da alcuni soldati tedeschi tre colpi di fucile mitragliatore senza alcun motivo e la uccisero quasi istantaneamente”.
Il 28 giugno 1968, 25 anni dopo i fatti accaduti, il Giudice Istruttore Militare presso il Tribunale Militare Territoriale di Napoli, nel procedimento a carico di Ignoti Militari tedeschi, imputati di “Violenza con omicidio contro Privati, per avere, il 1° ottobre 1943 in Somma Vesuviana, cagionata senza alcuna necessità, con colpi di arma da fuoco la morte di privati cittadini […]” dichiarò di “non doversi procedere in merito al reato indicato per esserne ignoti coloro che lo hanno commesso”; tenuto conto, poi, “del lungo tempo trascorso, delle particolari circostanze storiche in cui i fatti ebbero luogo, della nazionalità straniera dei loro autori, appare ormai impossibile pervenire alla identificazione ed al rintraccio dei medesimi”, ed in conclusione chiese che “si dichiari con sentenza di non doversi procedere in ordine al reato di cui in rubrica per essere rimasti ignoti gli autori del reato medesimo”.
E così furono messe a posto le carte.
La Storia, però, non consente silenzi né omissioni. Nell’anno scolastico 2016/17, in occasione del 74° anniversario dei fatti accaduti a Somma Vesuviana, la S.S.P.G. “San Giovanni Bosco-Summa Villa” e -in particolare- gli alunni della III B vollero dedicare ai caduti civili una targa commemorativa in via Casaraia, il luogo in cui Luisa fu uccisa. Ed accompagnarono il nobile atto con una significativa motivazione: “Abbiamo scelto di ricordare in particolare Luisa, prima perché era una mamma, poi perché avevamo letto su di lei storie con particolari diversi e ancora perché abbiamo avuto la possibilità di parlare direttamente con la “bambina del 1943”, unica testimone di quel tragico evento. Un’esperienza non comune per ragazzi della nostra età”.
Alunni di terza media, con le parole semplici e la voce del cuore di Giuseppina D’Amato, erano riusciti a rendere pubblica una vicenda privata, che sembrava smarrita, come tante nel gorgo della grande Storia.
Ora che l’ultima testimone di una triste pagina di Storia è scomparsa siamo tutti più poveri. Abbiamo allora un obbligo morale, culturale e politico: conservarne la memoria, farle acquistare il carattere pubblico per tutta la comunità e, soprattutto, interrogarci continuamente su noi tutti, anche quelli venuti dopo, comunque segnati da quell’evento, anche se non abbiamo un rapporto familiare o individuale con quell’evento.
Sono, credo, i piccoli-grandi insegnamenti che una persona umile nel presentarsi al cospetto di alunni di tredici anni, minuta nell’aspetto, dolce nella narrazione senz’odio del suo dramma –come è sempre stata Giuseppina D’Amato- ha lasciato ai suoi eredi ed a quanti hanno avuto il dono di averla conosciuta o avranno il desiderio e la necessità di perpetrarne il ricordo.