Era il pomeriggio di venerdì 11 marzo 2005, quando incontrai –a Roma- Peppino Avolio. Mi aveva dato appuntamento nel suo studio di via Flaminia (ci vediamo alle 15!), dove arrivò puntuale come un orologio svizzero. Peppino era un napoletano trapiantato nella capitale; era nato ad Afragola –da Francesco ed Antonietta Nuzzo (ambedue provenienti da famiglie di tradizione socialista e antifascista)- nel 1924; aveva patito tutte le sofferenze della guerra ed era stato tra i protagonisti della ricostruzione del partito socialista a Napoli, città in cui era rimasto fino al 1954: “Per le mie attività politiche, tra il 1947 ed il 1949, ero stato arrestato per ben tre volte. Allora alla fine dell’anno ’49 mi spostai a Como, dove però mi ammalai. Quindi, accettai l’invito dell’onorevole Luigi Cacciatore (segretario della Cgil), che mi volle a Salerno, dove, dal 1950 al 1953, fui segretario della Camera del Lavoro, con partecipazione diretta alla lotta per l’occupazione delle terre. Da Salerno feci ritorno a Napoli, perché Rodolfo Morandi mi aveva chiesto di occuparmi di agricoltura e mi aveva destinato all’Associazione Contadini del Mezzogiorno d’Italia. Poi mi spostai definitivamente a Roma ”.
Avolio è stato più volte consigliere comunale ad Afragola; è stato, quindi, deputato, nel 1958 e nel 1963 eletto nelle liste del PSI e, nel 1968 eletto in quelle del PSIUP; è stato anche tra i fondatori della Confederazione Italiana Coltivatori, istituzione della quale è stato presidente per ben 24 anni. Nella parentesi seguita alla scissione socialista del 1964, Avolio è stato direttore del Mondo nuovo, l’organo di stampa del Psiup.
- Peppino, tu sei nato in un ambiente socialista.
- Sì, la mia era una famiglia socialista. Mio padre era ferroviere; era militante della Cgil e, all’epoca del delitto Matteotti, era stato sospeso dal servizio, perché si era fatto promotore di una sottoscrizione di fondi da destinare all’organizzazione di una manifestazione in ricordo del martire socialista. Per l’indulto seguito ai Patti Lateranensi era stato, poi, riassunto in servizio, insieme ad altri 18 ferrovieri, tutti riammessi “senza l’obbligo della tessera”.
- Tu sei stato segnato anche dalla dura realtà dei campi di concentramento.
- Dopo l’8 settembre fui catturato dai tedeschi a Torino e fui avviato a un campo di prigionia nei pressi di Mantova. Da quest’ultima città, chiuso in un vagone piombato, con altri 47 prigionieri, fui trasferito prima a Lathen, in Prussia, poi a Remscheid in Renania Settentrionale Vestfalia e, successivamente, a Dusserdolf, città in cui fui costretto a lavorare in una fabbrica di materiale bellico. Fui liberato dagli americani nel mese di maggio del 1945: pesavo solo 38 chili! In attesa del rimpatrio –e col permesso delle autorità militari di occupazione, fondai e diressi “La libera uscita” un giornale destinato ai prigionieri di guerra italiani della zona.
- Rimpatriato, cominciasti subito la tua attività politica.
- In effetti sì. Tornai ad Afragola il 29 agosto 1945 e, immediatamente, con la collaborazione di altri amici, diedi vita ad un giornaletto, “L’eco afragolese”. Fu un ritorno alle origini; ad Afragola, infatti, mi ero impegnato nelle prime attività politiche. Ricordo che, giovanissimo, avevo scritto un testo teatrale, “Marcia su Roma”, che, quando era stato portato in scena da un gruppo di attori dilettanti, aveva provocato le ire dei fascisti, che ne avevano impedito la rappresentazione, mentre la SIAE mi aveva sequestrato il copione, faticosamente scritto a mano. Ad Afragola, poi, nel gennaio del 1946, fui eletto segretario della locale sezione del Psi.
- Dalla tua città natale ti sei, poi, spostato a Napoli.
- Sì, cominciai a frequentare la federazione socialista e a collaborare all’Avanti!, la cui redazione cadeva sotto la responsabilità di Gino D’Amato. I redattori dell’Avanti! si riunivano in una sala della Federazione; poi, ebbero dei loro locali in un palazzo di via Chiaia, messi a disposizione dai portuali. In redazione c’erano molti giovanissimi come Roberto Laviano ed Antonio Guizzi, oltre ad affermate personalità come Aldo Bovio, Gino Palumbo, Vittorio Viviani o Mimì Rea. Nel 1948 fui nominato responsabile dell’edizione napoletana del giornale socialista, che, in quel periodo, era diventato particolarmente attento alle esigenze di rinascita civile ed economica della città.
- Com’era la Napoli del tempo?
- Una città meravigliosa, perché era piena di problemi ma anche ricca di risorse umane. Negli anni ’50, però, nel capoluogo campano le azioni e le lotte per il lavoro e per il pane erano fortissime e frequenti erano le proteste di piazza e gli scioperi delle diverse categorie. Come militante del Psi e giornalista dell’Avanti ! ero sempre in mezzo alle manifestazioni. Fui arrestato due volte – la prima in via Roma, la seconda in piazza Dante, sotto la sede del partito- processato e condannato insieme a Ennio Villone e Loris Gallico (dirigenti di primo piano del Pci) e a Telemaco Malagoli, in seguito esponente dei Verdi. La difesa, ricordo, fu assunta da Mario Palermo e Lelio Porzio.
- Quale fu l’apporto dell’Avanti! alla rinascita di Napoli?
- Il giornale svolse una grande funzione, perché si interessò ed affrontò in modo organico i problemi che interessavano alla gente semplice come, per esempio, l’organizzazione dell’approvvigionamento alimentare, la riorganizzazione dei mercati rionali, lo sviluppo dei trasporti pubblici.
- Si può dire che i socialisti avessero inaugurato un nuovo modo di far politica?
- Sicuramente, perché il contributo dei socialisti non riguardò più solo la difesa degli operai o la garanzia della copertura di tutte le attività dei disoccupati e delle realtà lavorative in genere. Il PSI cominciò a porsi anche problemi di prospettiva e sviluppo di Napoli, capitale del Mezzogiorno e già città europea.
- Si riscontravano differenze con la politica dei comunisti?
- Sostanzialmente c’era collaborazione, anche se si partiva da posizioni politiche diverse. Con i miei amici comunisti –tra i quali c’erano Giorgio Napolitano, Diego Del Rio, Gerardo Chiaramonte, Pietro Valenza, Mario Gomez- discutevamo su problemi che nella loro essenza non erano diversi da quelli presi in considerazione da noi socialisti. La nostra particolarità, però, era che noi ponevamo più attenzione alla persona, all’uomo, ai suoi bisogni. Ricordo, a tal proposito, che, tra il ’47 ed il ’48, fummo noi a costituire il “segretariato del popolo”, una sorta di moderno patronato, con uffici nei quali la gente si poteva recare per chiedere i sussidi di disoccupazione o la tessera alimentare non recapitata in tempo. Insomma, eravamo lì, nella veste di segretari particolari, per risolvere i problemi spiccioli della gente.
- Quali sono stati i tuoi rapporti con Francesco De Martino?
- Non sono mai stato sulle sue posizioni politiche, ma ho avuto rapporti di grande stima ed amicizia. Francesco era un vero signore della politica. Ricordo che nel 1968, prima della scissione, si celebrava il congresso sezionale nella sua Somma Vesuviana. De Martino rappresentava la mozione autonomista di Nenni; poi c’eravamo io in rappresentanza di “Alternativa Democratica”, che faceva capo a Lelio Basso, e Lucio Libertini in rappresentanza della Sinistra del partito. Alla fine del mio intervento Francesco mi strinse la mano, mi disse che avevo fatto un discorso molto ispirato e che se non fosse stato nella posizione in cui si trovava avrebbe votato per me. Poi, quando si rese conto che nella sua sezione non avrei preso un voto, immagino che abbia pensato che “pareva proprio brutto”. Così lo vidi chiamare il figlio Armando, che era il più vicino, politicamente parlando, alle nostre posizioni, ed immagino che gli abbia detto che Peppino Avolio non poteva andarsene da Somma Vesuviana senza nemmeno un voto, “pareva brutto”. A conti fatti, portai a casa un 8% di consensi. Altri tempi ed altri uomini!
A fine incontro il compagno Avolio mi fece dono di due sue pubblicazioni con dedica: L’Utopia dell’Unità (Marsilio, 2004) e Terra e Libertà (Il Ponte, 2004). Il primo racchiudeva i passi salienti della sua quarantennale militanza socialista; il secondo era un omaggio de Il Ponte per i suoi ottant’anni e, come scriveva Marcello Rossi nell’introduzione, per la terra e il socialismo, i due amori che connotano la vita civile di Giuseppe Avolio.
Quello di Roma non fu l’unico incontro con il compagno Avolio. Ne seguirono altri a Napoli, a Somma Vesuviana (per una manifestazione in memoria di Francesco De Martino) ed anche ad Afragola, dove –ricordo- lo raggiunsi una mattina in cui doveva porre agli amministratori della sua città natale il problema dell’eredità (come lo aveva fatto già Gaetano Arfè) delle sue carte e dei suoi libri. Ci furono tra noi anche molte telefonate. Durante la lavorazione del libro Socialisti a Napoli, il dopoguerra tra storia e memoria (Dante & Descartes, 2006), lo interpellai più volte, per catturare fotogrammi e storie. E lui non fu mai avaro di particolari. Come quando ricordava le straordinarie intelligenze che passarono per la redazione napoletana dell’Avanti!, tra cui il direttore della Biblioteca Universitaria, Alfredo Simari, col quale aveva continue e lunghe discussioni sulla vexata questio dell’autonomia socialista o sull’unità dei partiti della sinistra. “Parlavamo per ore, specialmente di sera, passeggiando per via Medina o per via Chiaia, oppure lungo il Rettifilo, quando egli decideva di accompagnarmi a prendere il tram per Afragola, che partiva da Porta Capuana. Il tema era sempre quello del ruolo del Psi e dei rapporti col Pci, che Simari stigmatizzava, ricordando Ovidio degli Amores: -Nec tecum, nec sine te vivere possum”. O come quando raccontava della sua scelta socialista, per la quale: “mi dovevo sempre giustificare, perché ai miei giovani amici del Pci appariva arretrata. Essi, infatti, un po’ per celia e un po’ sul serio, non perdevano occasione per esortarmi a fare – come si diceva allora- il salto di qualità, cioè entrare nel Pci. Ma io mi difendevo con forza e spiegavo che la mia scelta nasceva dal fatto che consideravo decisivo il contributo dato dal Psi all’evoluzione dell’Italia da paese arretrato a paese moderno, anche se non aveva saputo e potuto –per l’indebolimento subito dalla scissione del 1921- sbarrare la strada alla violenza fascista”.
All’indomani della scomparsa di Peppino Avolio– avvenuta il 1° novembre del 2006- con un biglietto di condoglianze inviai alla famiglia il mio libro appena pubblicato ed anche la registrazione in video dell’incontro avuto a Roma. Il 30 novembre dello stesso anno la signora Elisa, la moglie di Peppino, mi scrisse: “Un bel dono natalizio il suo libro e il DVD con l’intervista a Peppino […] L’omaggio mi ha fatto ricordare e ripercorrere un lungo cammino di vita e di ideali con mio marito, che non poteva non suscitare in me una sofferta nostalgia ora che Peppino non c’è più”.