Era una caldissima sera di un luglio di alcuni anni fa; Luigi Necco arrivò a casa mia in compagnia di Tullio Pironti e del dentista Morra Greco. Cenammo sul terrazzo di casa, rinfrescati da una piacevole brezzolina, difronte alla maestosa mole del Somma Vesuvio. Mia suocera si era proprio superata quella sera e Luigi gliene fu molto grato (ma anche gli altri commensali), gustando ed approvando a pieni voti i peperoncini verdi con i pomodorini della terra vesuviana, la parmigiana di melanzane, l’insalatina fresca dell’orto, il coniglio al forno innaffiato con catalanesca in cui erano state immerse fette di percoche gialle.
Luigi lo conoscevo da tempo ma solo da quando avevo cominciato a frequentare la casa editrice di Pironti era nato un rapporto di amicizia e di stima. Inizialmente, infatti, Necco era per me il giornalista della Rai, brillante e frizzante commentatore sportivo. Conoscendolo più a fondo, avevo scoperto, però, anche un uomo di una simpatia debordante e di una cultura smisurata. Come quelle che esibì la sera della cena, parlando di sport e di cinema, di letteratura e politica, di storia e di archeologia (la sua grande passione). E fu proprio per quell’amore smisurato per lo studio delle antiche civiltà, che mi trovai anch’io – in alcune occasioni – seduto accanto a lui nelle scuole napoletane a parlare del suo testo Il giallo di Troia. Alla ricerca del tesoro di Schielman (Pironti, 1993).
Era attentissimo ad ogni curiosità, Luigi; corredava minuziosamente le risposte e, se occorreva, metteva a disposizione anche i libri della sua ricca biblioteca. Come quando mise a mia disposizione il testo – per me introvabile allora – di Èmile G. Léonard, Gli angioini di Napoli (Dall’Oglio, 1967).
A Luigi Necco piaceva stare tra la gente. Se entrava in un bar o camminava per strada, si fermava a parlare con decine di persone; chi gli stringeva la mano, chi voleva parlare della squadra del Napoli, chi voleva semplicemente sfogare la propria rabbia per la (cattiva) sorte capitata alla città. Non per caso, quando decise di candidarsi alle elezioni amministrative del 1997, nelle liste dei Democratici di Sinistra, la sua Napoli gli riservò una marea di voti. Probabilmente, però, quel plebiscito non servì a garantire a Necco lo scranno di assessore alla Cultura a cui poteva legittimamente e meritatamente aspirare. Fu l’unica consiliatura a cui Luigi partecipò attivamente; non vennero mai meno, però, il senso di appartenenza, la militanza disinteressata, la passione e la cultura dell’uomo della sinistra storica.
L’ultima volta che ho incontrato Necco è stato il 1° marzo dell’anno scorso, il giorno dei funerali di Mario Guida. Era nell’androne dell’Ospedale Vecchio Pellegrini, appoggiato al suo ormai inseparabile bastone, in cerca di una panchina su cui potersi appoggiare. E lì era rimasto per tutto il tempo della cerimonia funebre, proprio non ce l’aveva fatta ad inerpicarsi su quella ripida scala che portava all’Arciconfraternita dei Pellegrini. Quando andai via lo salutai con il consueto entusiasmo ed affetto; ma sotto quel cappello a falde larghe trovai un Luigi con lo sguardo spento e gli occhi non più vivaci come quelli di una volta. C’era sofferenza, c’era stanchezza, c’era delusione. Mancavano il volto sornione dell’indimenticabile Milano chiama e Napoli risponde, la partecipazione emotiva al dramma del terremoto dell’80, le storie condite di intelligente curiosità sia che parlassero del partigiano Siro Riccioni o dell’archeologo Heinrich Schilieman, sia che parlassero di Maradona, Juary, Sibilia o Vincenzo Casillo, detto ‘O Nirone.
C’è una foto nel mio studio che conservo con grande cura e che penso sia diventata – ora – un vero documento storico. Ritrae il tavolo dei relatori all’Istituto Italiano di Studi Filosofic,i la sera del 2 febbraio del 1999, in occasione della presentazione di un mio testo sulla Rivoluzione napoletana del 1799: Amato Lamberti, Luigi Necco, Nino Pino e Gaetano Arfè (accanto ci sono io e, poi, una giovanissima Mirella Armiero).
Buona traversata dell’Acheronte, Luigi; certamente stupirai anche Caron dimonio. Un bacio.